Quella che nel cuore di molti resterà impressa come l'ultima Parigi-Roubaix di Tom Boonen (13° al traguardo), offre come sempre tanti altri spunti riguardo alle conferme, alle sorprese e alle delusioni. Da un Van Avermaet incontenibile, a un Peter Sagan deluso, senza dimenticare un'Italia finalmente protagonista con un generoso Daniel Oss e uno sfrontato Gianni Moscon.
LA PRIMA DI GREG - Il vero trionfatore della gara di ieri non può che essere Greg Van Avermaet che non solo è riuscito a conquistare la sua prima Classica Monumento, ma l'ha fatto tenendo sempre in mano la corsa. Una caduta nei primi settori di pavé sembrava averlo escluso dai giochi con oltre 1' di ritardo dagli altri favoriti, ma le gambe e soprattutto la testa gli hanno permesso di rientrare. Reattivo nell'accordarsi all'attacco spartiacque della Trek, lucido nel seguire dalle prime posizioni ll compagno Daniel Oss, spalla perfetta per la grande giornata del fiammingo. Negli ultimi 10 Km con Stybar e Langeveld ha tirato praticamente solo lui, consapevole che abbassare il ritmo avrebbe potuto causare il rientro di altri scomodi protagonisti e quanto successo nel velodromo poco dopo conferma la sua strategia. Accorto e cinico quando è servito, come in quella volata che gli ha regalato la gioia della prima Roubaix.
I DUBBI DI SAGAN - Sicuramente sfortunato l'altro atteso protagonista di giornata, colto da due forature una delle quali nel mezzo di un'azione che sembrava poter essere decisiva. Tuttavia a differenza di Van Avermaet paga un eccessivo spreco di energie che non gli permettono di entrare tra i primi inseguitori di Oss né di recuperare sul futuro vincitore al momento dell'attacco decisivo sul Carrefour de l'Albre; forse, con il senno di poi, avrebbe potuto risparmiarsi di più, ma questo suo modo di correre sempre all'attacco è il marchio di fabbrica che lo rende così spettacolare e amato dal pubblico delle due ruote.
Un'ultima considerazione va fatta sulla squadra a disposizione di Peter Sagan. Dei suoi compagni si è visto solo Maciej Bodnar in quell'azione poi vanificata dalla foratura del campione del mondo: il gap con gli organici Bmc e Quick-Step non può essere una giustificazione assoluta, ma come dimostrano Fiandre e Roubaix il valore della rosa conta eccome, anche nelle gari più individuali.
MOSCON E OSS, L'ITALIA SORRIDE - Già al Giro delle Fiandre la presenza di tre italiani in top ten era stato un evento che non si vedeva dal 2012 e per trovare il tricolore all'interno dei primi dieci di una Parigi-Roubaix dobbiamo tornare allo stesso anno, con il secondo posto di Ballan e il settimo di Tosatto. C'è riuscito Gianni Moscon a spezzare questa maledizione, grazie a un quinto posto che con un po' di esperienza in più sarebbe potuto essere anche qualcosa di più. La cosa più bella della gara del classe '94 è stata la capacità di essere sempre nelle prime posizioni, senza perdere mai contatto in maniera irreparabile con la testa della corsa, senza timore reverenziale nel provare ad accelerare in un gruppetto con Van Avermaet e sua maestà Tom Boonen. Bravo anche nel finale a non aver fretta di rientrare e ad accordarsi al più esperto Stuyven per sopraggiungere sui primi tre al momento giusto; non è bastato a guadagnare il podio, ma questa Parigi-Roubaix dimostra come Gianni Moscon non è più una promessa del ciclismo italiano, ma un protagonista delle corse sul pavé.
Encomiabile invece il lavoro di Daniel Oss, mattatore assoluto della parte centrale della corsa prima in coppia con Stuyven poi in solitaria, che corre con grande intensità permettendo a Van Avermaet di essere in una situazione privilegiata in uno dei momenti più caldi della gara. Un autentico angelo custode, tessitore della trama della giornata perfetta del campione olimpico: l'abbraccio tra i due a fine gara vale più di mille spiegazioni.