Anche l'edizione numero 103 del Tour de France è ormai consegnata agli archivi. Ha vinto, secondo pronostico ma con modalità diverse dalle abituali, il britannico Chris Froome, che si è così aggiudicato la terza Grand Boucle della carriera dopo quelle del 2013 e del 2015, mentre sul podio all'ombra dell'Arco di Trionfo si sono piazzati il francese Romain Bardet e il colombiano Nairo Quintana. E' stato un Tour a lungo privo di grandi emozioni, spesso concentrate negli ultimi due chilometri di salita, che ha riscoperto l'importanza delle discese, su un percorso sapientemente tracciato dagli organizzatori, abili nel miscelare tappe adatte a ogni categoria di corridori. Il ritiro di Alberto Contador ha segnato profondamente questa Grand Boucle appena conclusosi, eliminando quel fattore di imprevidibilità che è requisito indispensabile per lo spettacolo. Al netto di qualche successo inatteso, è stato un Tour cannibalizzato da pochi grandi personaggi.
1. Chris Froome e il Team Sky
La macchia nera davanti al gruppo è stata una costante delle tre settimane francesi. Conquistata la maglia gialla con una splendida azione in discesa a Bagneres-de-Luchon, Froome si è limitato a gestire il vantaggio, senza dover attaccare ulteriormente. Una mini-accelerazione sul Mont Ventoux (prima del disastro moto-tifosi), un'altra verso Finhaut-Emosson per seguire Richie Porte e la vittoria è stata messa in cassaforte, anche grazie al dominio nelle due cronometro. Fondamentale il lavoro dei suoi compagni di squadra: tra Mikel Landa, Mikel Nieve, Geraint Thomas e Sergio Henao, tutti superlativi nel coprirgli le spalle, è emerso con prepotenza Wouter Poels, l'olandese vincitore della Liegi di quest'anno, impressionante in salita.
2. Nairo Quintana e i suoi fratelli
La lotta per il podio - che pure avrebbe potuto garantire spettacolo - si è rivelata una corsa ad eliminazione, vinta da Romain Bardet e Nairo Quintana sui vari Yates, Porte, Aru, Martin, Meintjes. Ma se il francese si è concesso almeno una giornata d'attacco e di gloria sulle pendici del Monte Bianco, il colombiano della Movistar è stato clamorosamente assente per venti giorni: mai uno scatto vero, un segno di vita o di orgoglio. Una certa continuità - e un Alejandro Valverde in versione extralusso - gli ha consentito di agguantare un podio insperato e forse irraggiungibile senza l'handicap di due minuti (persi nella seconda tappa) con cui è partito Richie Porte. Tra gli outsider, Fabio Aru è stato il più aggressivo, ma è crollato sul Joux Plane, mentre Yates, Martin, Meintjes e Mollema hanno fatto quanto nelle loro possibilità e raccolto più di quanto immaginato.
3. Il dominio di Mark Cavendish e Peter Sagan
Il più forte velocista del Tour 2016 è stato senza dubbio Mark Cavendish, tornato ai fasti degli anni passati. Cannonball ha dominato le volate di gruppo, concedendo una sola vittoria al rivale Marcel Kittel e un'altra (perchè già ritiratosi) al gorilla Andrè Greipel.
Grandi delusi Kristoff, Degenkolb e Coquard. Peter Sagan ha dato invece spettacolo su tutti i terreni, vincendo dalla Normandia alla Svizzera, passando per Montpellier (capolavoro con Froome, Bodnar e Thomas), a smentire i tanti - troppi - che lo volevano sempre piazzato alla Grand Boucle. La quinta maglia verde consecutiva è il simbolo di un dominio che non è mai stato così divertente.
Unico degli "avversari" a portare a casa un successo parziale è stato l'australiano Michael Matthews, abile a sfruttare una delle poche tappe mosse adatte ad azioni da lontano.
4. Le grandi fughe
E' stato il Tour delle grandi fughe, agevolate dall'atteggiamento del Team Sky, che ha sempre lasciato andare gli attaccanti di giornata per non spremersi troppo anche nelle prime parti delle tappe di montagna. Ne hanno così approfittato Greg Van Avermaet, anche in maglia gialla, Thomas De Gendt, vincitore su un Ventoux dimezzato, Stephen Cummings, Ilnur Zakarin e Jarlinson Pantano. Notevole anche il Tour di Tom Dumoulin, giunto da solo sotto il diluvio sul traguardo in quota di Andorra Arcalis e super a cronometro. Menzione particolare per il polacco Rafal Majka, all'attacco sia sui Pirenei che sulle Alpi, che non ha colto vittorie di tappa ma si è aggiudicato la seconda maglia a pois della carriera.