Erano trascorse solo quattro settimane dall'ultima volta quando Andy Murray e Roger Federer si ritrovarono di fronte a Wimbledon per disputare l'uno contro l'altro una nuova finale. Quella tradizionale dei Championships 2012 l'aveva vinta il fuoriclasse elvetico, in rimonta al quarto set, conquistando il diciassettesimo titolo dello Slam della sua strepitosa carriera. Lo scozzese era rimasto invece a bocca asciutta, tradendo tutta la sua frustrazione nella premiazione sul campo centrale, con lacrime di dolore per non essere riuscito a rompere l'incantesimo di Fred Perry, ultimo tennista britannico a trionfare nel sacro Tempio, a quasi ottanta anni di distanza dall'ultima volta.
Ma quel 5 agosto 2012 la storia sarebbe cambiata. In uno Wimbledon rimesso a nuovo per la XXX edizione dei Giochi Olimpici estivi, e cromaticamente diverso rispetto alla tradizione che impone il bianco ai giocatori, Andy Murray avrebbe trovato la sua personalissima redenzione, al termine di un torneo molto particolare, disputato con incontri ravvicinati tra loro e al meglio dei tre set, eccezion fatta proprio per la finale. Avversario dello scozzese ancora una volta Roger Federer, reduce da una mezza maratona contro l'argentino Juan Martin Del Potro (che poi chiuderà terzo, agguantando la medaglia di bronzo contro Novak Djokovic), una partita epica, degna dei grandi match olimpici del passato, conclusasi con il punteggio di 19-17 al terzo set. Prima finale a cinque cerchi per entrambi, Federer e Murray, con lo svizzero che aveva mancato gli appuntamenti di Atene 2004 (sconfitto da Tomas Berdych) e di Pechino 2008 (eliminato dall'americano James Blake), mentre le Olimpiadi di Sydney erano state nient'altro che un primo assaggio di grandezza sportiva. I campi dell'All England Club erano incredibilmente rumorosi in quell'agosto 2012, con un pubblico molto lontano da quello che tradizionalmente riempe le strutture dei Championships durante le normali edizioni del torneo.
E proprio un tifo caloroso avrebbe spinto Andy Murray, mai tanto britannico e poco scozzese come in quella occasione, a conquistare la medaglia d'oro nel luogo più evocativo della storia del tennis, in una finale invece poco combattuta, a causa di un Federer logoro per le energie supplementari spese contro Del Potro. 6-2 6-1 6-4 lo score a favore di Andy, che in quella settimana a cinque cerchi avrebbe perso un solo set contro il cipriota Marcos Baghdatis, dopo una partenza lanciata contro l'altro svizzero Stan Wawrinka, fino ad arrivare al doppio 7-5 necessario per far fuori Nole Djokovic in semifinale. Sul podio allestito sul campo centrale Murray iniziò a togliersi le prime vere soddisfazioni della carriera, lanciandosi verso il titolo di campione agli US Open un mese più tardi, e poi vincendo finalmente i Championships un anno dopo (in finale su Djokovic), evento ripetutosi pochi giorni fa con la vittoria sul canadese Milos Raonic. In mezzo il trionfo con la Gran Bretagna in Coppa Davis nel novembre 2015, altro successo ottenuto per la sua nazione che, dopo qualche scetticismo iniziale, aveva imparato ad amare questo scozzese un po' emotivo e spesso poco british per atteggiamenti in campo. In cima a quel podio, mentre risuonavano le note di God Save The Queen, Murray si liberava di un primo peso, mentre Roger Federer sembrava comunque soddisfatto dell'argento conquistato da portabandiera della sua piccola Svizzera, dopo aver vinto l'oro quattro anni prima a Pechino, ma solo in doppio, in coppia con Stan Wawrinka.