Il caso Geraint Thomas - illeso dopo essere stato tamponato dal francesino Barguil e finito fuori strada dopo aver colpito un palo nella discesa del Col de Manse nella sedicesima tappa di questa edizione della Grand Boucle - ha riacceso le polemiche sulla sicurezza dei corridori e sulla pericolosità di alcune discese del Tour de France e, più in generale, dell'intero circuito internazionale. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire. "Non c'era il guard-rail a protezione della carreggiata, l'asfalto era vecchio e scivoloso, si tratta di ciclismo e non ciclocross", le espressioni più usate immediatamente dopo l'arrivo di Gap, per sottolineare i troppi pericoli corsi dai corridori durante la tappa di ieri.
Ecco dunque riaprirsi il fronte della polemica circa l'opportunità di far disputare agli atleti discese ritenute oltre i limiti del rischio consentito. Bene, premesso che l'assenza del guard-rail era dovuta proprio alla natura della strada, situata in mezzo alle montagne e necessariamente stretta e priva di grandi protezioni, e che le condizioni del manto stradale non erano così disastrose come qualcuno vuol far credere, la questione è un'altra e riguarda lo spirito delle corse ciclistiche. Una discesa tecnica come quella di ieri esalta le qualità di corridori come Sagan, Nibali e altri, veri funamboli della bici, regalando spettacolo agli appassionati e permettendo agli stessi protagonisti di trarre vantaggio dalle loro doti. Non si può pensare di imbrigliare un grande discesista solo perchè gli altri vanno più piano o disegnano curve quadrate piuttosto che tonde.
Come la salita e la pianura, la discesa fa parte del percorso e come tale va affrontata. Il ciclismo non è uno sport che premia solo chi riesce ad imprimere più forza sui pedali, ma è una disciplina che comporta un adeguato uso del mezzo meccanico, da guidare con perizia e capacità tecniche. E' impensabile che tutte le discese siano perfettamente tenute, con strade larghe e asfalto rifatto da poco. Anche nella capacità di avere il controllo della propria bici risiede il punto di forza di molti professionisti. Anzi, ben vengano tappe come quella di Gap, in cui dopo la solita, estenuante salita dove nessuno scatta per paura di essere ripreso e poi saltato, i corridori sfoderano quel coraggio troppe volte assente durante la corsa. Chiunque ami il ciclismo non può che esaltarsi per una discesa ad effetti speciali come quella effettuata ieri da Peter Sagan, capace di recuperare 30 secondi in meno di dieci km di picchiata. E che dire di Vincenzo Nibali, andato all'attacco in salita proprio al fine di sfruttare le sue doti di grande discesista.
Nessuno può e deve sottovalutare i rischi di alcuni percorsi. La sicurezza degli atleti è prioritaria, sia chiaro. Ma continuare a prendersela con gli organizzatori del Tour piuttosto che del Giro per una caduta in discesa non è il passo logico successivo. Una volta garantita la sicurezza, si lasci spazio all'estro di chi è capace di fare spettacolo e di esaltarsi su tracciati a sè consoni, ravvivando la corsa e l'interesse degli appassionati. Piuttosto, sono molto più pericolosi gli approcci alle volate di gruppo, dove si sprecano spintoni e fioccano scorrettezze sul filo dei sessanti chilometri orari: sarebbe questo un ambito sul quale cercare di intervenire per prevenire incidenti, non quello - a tratti artistico - di curve strette pennellate in discesa.