Classe '77, nativo di Milano, carriera che si divide tra grandi classiche e nobile gregariato. Luca Paolini è il leader, per carisma ed esperienza, del gruppo azzurro, pedina fondamentale della ricca Katusha. Angelo custode di Kristoff, guida preziosa per Purito Rodriguez. Il destino eleva Luca a eroe in una delle corse simbolo del ciclismo, la Gand Wevelgem. Un premio alla professionalità, un esempio per chi sale, giovane, in sella. Questo fino a ieri. 

Sì, perché da qualche ora Luca Paolini è sul banco degli imputati, positivo a un test effettuato al Tour dopo la tappa in pavé. Sulle pietre, Paolini saltella, rimbalza, dentro e fuori dal temibile pavé, sempre davanti, sono d'altronde le sue strade. Al termine la doccia fredda, nota solo qualche giorno dopo. Cocaina, una tegola pesantissima, che rischia di cancellare una carriera straordinaria. 

Paolini è scioccato, attende la controanalisi, la Katusha ferma il 38enne e attende il verdetto definitivo per chiudere in anticipo ogni rapporto con il corridore. Il Tour termina qui, la salita da scalare è ora ben più dura di qualsiasi ascena pirenaica o alpina. 

La cocaina, proibita solo durante le competizioni dall'UCI, travolge l'immagine di un ciclista perfetto, strappa un dipinto di emozioni e accresce rabbia e rammarico. Perché rovinare tutto, ora?

Paolini dichiara estraneità, si chiede il "perché", si chiede il "come", mentre gli appassionati scuotono il capo, c'è un silenzio rumoroso. Il ciclismo, acceso dalla bellezza della corsa in giallo, entra nell'ennesimo buco nero. Superficialità, scarsa intelligenza, una lotta perenne tra la bellezza dello sport e l'arte del raggiro.