Il Giro d'Italia 2015, che si è concluso ieri, verrà ricordato per le poche occasioni lasciate agli sprinter di poter giocarsi la vittoria di tappa. Altre edizioni della corsa rosa avevano offerto molti più arrivi in volata di questa. Sia chiaro nulla a che vedere con il leit motiv caratteristico di certe prime settimane del Tour de France. Eppure nonostante le possibilità di mettersi in mostra per le ruote veloci fossero poche, la condotta delle squadre che avrebbero dovuto adeguatamente supportarli ha lasciato veramente a desiderare.

L'apice della gestione di tappa sciagurata da parte delle formazioni dei velocisti lo abbiamo avuto in due frazioni piatte come un biliardo: quella da Civitanova Marche a Forlì e l'ultima, la passerella finale da Torino a Milano. In questi ultimi anni raramente avevamo visto delle squadre dei velocisti così disattente, dare troppo spago ai fuggitivi, in un incauto gioco del gatto con il topo, dove a sorpresa ha vinto quest'ultimo. Viceversa va dato merito agli attaccanti, sia nella tappa di Forlì che in quella di Milano, di averci creduto fino in fondo quando i più li davano per spacciati, dandosi cambi regolari e viaggiando ad andatura sostenuta. Ancor più grave è stata la situazione di ieri, perchè 2 uomini nati pistard, come Keisse e Durbridge, hanno dato scacco matto al gruppo.

Il re dei velocisti quest'anno è stato Sacha Modolo, con 2 vittorie, finalmente è riuscito a sbloccarsi al Giro. Ha rotto il ghiaccio pure Elia Viviani che alla Sky si trova bene. Da Andre Greipel ci si aspettava molto di più della sola vittoria ottenuta. Giacomo Nizzolo ha conquistato la maglia rossa valida per la classifica a punti, è stato generoso ma sfortunato mancando i successi parziali per poco. Ci si attendeva di più pure dal giovane Moreno Hofland e pure da Luka Medzgec. Non è stato mai nel vivo delle volate Manuel Belletti. Matteo Pelucchi è stato costretto al ritiro troppo presto.

L'organizzazione delle volate è caratterizzata dall'assenza dei treni che si vedevano ai tempi di Mario Cipollini, Erik Zabel e Alessandro Petacchi. Si direbbe che i velocisti abbiano dovuto fare di necessità virtù come Robbie Mc Ewen che prendeva la ruota dei già citati Cipollini e Zabel. Il rischio di cadute è sempre dietro l'angolo, l'unica cosa rimasta uguale nel tempo. Esiste ancora la figura dell'ultimo uomo, apripista dello sprinter, alla Giovanni Lombardi o alla Gianmatteo Fagnini. Qualche volta vediamo dei minitreni come in un successo di Modolo. Nel ciclismo moderno infatti nelle corse a tappe ha la priorità l'uomo di classifica.