È finito il Giro d'Italia 2015 e, come spesso accade, porta via con sè un turbinio di sensazioni positive e ricordi. È stato un Giro intenso, meno scontato di quanto si potesse immaginare alla vigilia. La stessa evoluzione della corsa sembrava dovesse portare ad un andamento già scritto ed invece le ultime frazioni hanno rivelato tutta l'umanità di una gara raramente uguale a sè stessa e bloccata dall'onnipotenza tecnica di chicchessia. 
L'edizione numero 98 del Giro d'Italia passerà alla storia per la seconda vittoria di Alberto Contador nella gara a a tappe italiana (la terza se consideriamo il succeso del 2011, revocato successivamente). 
Il fuoriclasse di Pinto ha dimostrato ancora una volta di saper leggere alla perfezione i diversi momenti delle corse a tappe, gestendo i periodi no e massimizzando le difficoltà altrui. Alberto Contador è semplicememente il più grande corridore da tre settimane degli ultimi vent'anni e a breve tenterà di entrare nella leggenda del ciclismo provando a realizzare la doppietta Giro-Tour. 
Ci sarebbe, inoltre, moltissimo da dire sulla maturità cercata e trovata da Fabio Aru,sulla bellissima ed inattesa esplosione di Mikel Landa, sulle cocenti delusioni rappresentate da Rigoberto Uran e Richie Porte, sulla conferma di un campione assoluto che corrisponde al nome di Philippe Gilbert e sulla splendida favola di Paolo Tiralongo. 

L'aspetto che colpisce, però, più di tutti in questo Giro d'Italia è la sua umanità. Un'umanità visibile negli occhi e nelle prestazioni dei protagonisti e nello stesso percorso della corsa rosa. Le tre settimane disegnate dagli organizzatori sono state, infatti, più abbordabili dal punto di vista altimetrico e dei trasferimenti affrontati dai corridori. 
Un Giro che ha mantenuto le sue caratteristiche di epicità, esaltate da salite come il Mortirolo ed il Colle delle Finestre e reinterpretate dall'interminabile cronometro di Valdobbiadene; un'edizione, però, che è sembrata a tutti gli effetti più umana. 
Questo tipo di percorso ha consentito probabilmente ai corridori di potersi esprimere con maggiore fantasia e minore timore reverenziale. Ne è venuta fuori una corsa emozionante e ricca di colpi di scena, più incerta rispetto alle aspettative iniziali. 
Il volto umano di questo Giro è rappresentato, però, innanzitutto dai corridori che lo hanno onorato. E paradossalmente il miglior rappresentante di questa umanità è proprio chi il Giro d'Italia lo ha vinto e a tratti dominato, dando l'impressione che la sua superiorità non potesse essere scalfita in alcun modo.
Ed invece, negli ultimi giorni, Alberto Contador ha mostrato un'insolita versione vulnerabile. 
Il Colle delle Finestre è stato per lui un momento di crisi reale ed inappellabile. Raramente in carriera lo abbiamo visto così in balia della strada che severa si inerpicava sotto le sue ruote. È stato costretto a gestire sè stesso ed il vantaggio accumulato nelle tappe precedenti, sopperendo alle mancanze di una squadra inadeguata per le tappe in salita. 
Proprio la sua capacità di gestione dei momenti difficili si è rivelata decisiva ai fini del successo conclusivo, a dimostrazione che Alberto Contador è un campione nella vittoria, ma lo è ancora di più quando la sconfitta si palesa all'orizzonte. 

Il volto umano di questo Giro non può che riguardare anche gli altri due grandi protagonisti della corsa rosa: Fabio Aru e Mikel Landa. I due corridori hanno dato vita ad un duello interno a tratti surreale, ma sincero e spettacolare. L'Astana ha fatto parecchia confusione, inutile negarlo. 
La scelta di abbandonare un Aru in difficoltà sul Mortirolo ha fatto discutere e, a conti fatti, può lasciare un pizzico di rimpianto per come sono andate le cose per l'atleta sardo. 
Lo stesso discorso è valido per la tappa del Sestriere, dove un Mikel Landa avviato ad un successo pressochè scontato, è stato fermato dal proprio team per aiutare Aru nel tentativo (vano) di vincere il Giro d'Italia, approfittando del momento no di Contador. 
A fine tappa Landa si lascerà andare ad un pianto amareggiato, emblema di un Giro sofferto tra gli stretti panni di gregario e i più consoni gradi di capitano. 
Il sorriso a denti stretti palesato sul podio di Milano hanno messo in evidenza un corridore contento a metà, un atleta che non riesce a nascondere le emozioni di tre settimane estremamente complesse. 
Fabio Aru, dal canto suo, ha dovuto fronteggiare una pressione inusuale per un ciclista della sua età. A soli 24 anni, il corridore sardo è stato la speranza di un Paese intero, che in lui ha creduto e ha riversato forse troppe aspettative. 
Una pressione che Aru ha saputo gestire a fasi alterne. L'Aru delle prime due settimane è sembrato quasi bloccato dalle proprie ansie e dall'ascesa prepotente di un compagno di squadra che bramava per avere un posto sul podio. 
Il momento chiave della sua corsa è stata proprio la crisi sul Mortirolo. In quel frangente Aru ha saputo resistere e salvare il salvabile; proprio quella tappa ha sbloccato a tutti gli effetti il campioncino di Villa Cidro. 
Da lì in poi abbiamo visto il Fabio Aru ammirato l'anno scorso al Giro e alla Vuelta. Prorompente ed esplosivo, a Cervinia e Sestriere ha mostrato tutto il suo enorme potenziale, dimostrando di avere superato l'esame di maturità più difficile. 
Il Giro d'Italia 2015 ha messo in luce, dunque, degli eroi umani, corridori capaci di imprese impossibili e di cadute imprevedibili. Proprio per questo motivo l'edizione numero 98 della corsa rosa ci ha tenuto incollati allo schermo e ci ha rivelato per l'ennesima volta l'unicità di uno sport disegnato per pochi grandi uomini.