L'ultimo capitolo di una lunga storia. Non esistono parole più belle di quelle usate dallo stesso Jens Voigt per raccontare l'impresa nel Velodromo di Grenchen. A 43 anni una sfida in solitaria, una lotta contro il tempo, una cavalcata, una delle tante, solo in pista, non sull'amata strada. Juens il gregario, Jens l'uomo perennemente in fuga, in lotta con se stesso e con limiti posti sempre un pò più in là. 49,700, queso il limite fissato dal ceco Sosenka. Per batterlo sessioni di 20, 30, 40 minuti, ripetute. Test che pongono l'asticella a 50,400 - 50,500, con il sogno di sfondare il muro dei 51,000. E il sogno si tramuta in realtà, perché la sua ora vola oltre i 51 km, 51,115.
Duemila spettatori, Gisiger che a bordo pista suona, quasi armonicamente, un fischietto, per segnalare qua e là lo scorrere del tempo, l'andamento di un vorticoso mulinare di gambe, la lotta contro un fantasma. E poi il tabellone, la media che oscilla tra momenti di devastante progressione e tra attimi di naturale "rilassatezza", fino alla consapevolezza del successo dopo metà gara "Qui ho capito che ce l'avrei fatta, non solo a battere il record di Sosenka, ma anche quello che avevamo pensato per me".
Al termine l'abbraccio è un qualcosa di grande, perché lì, al Velodromo, c'è la storia del record dell'ora, è una immaginaria lotta contro chi ha creato ad arte questo duello, contro chi lo ha reso gigantesco. Merckx, Moser, Boardman, per giungere a tempi più recenti, colossi che hanno provato, almeno una volta nella vita, a lanciare il guanto non a un gruppo, ma a qualcosa di indefinito, di invisibile, il tempo.
Jens Voigt chiude così, tra la gioia comune, chiude così silenzioso, ma col sorriso, senza eccessi, o meglio con un solo eccesso, un'impresa gigantesca, un record straordinario. Lascia il ciclismo, lascia la pista, ma soprattutto la strada, lascia il ciclismo, orfano ora di quella pedalata curva, non bella, quasi faticosa, ma tremendamente efficace, tremendamente d'esempio.
Fonte video Eurosport