Il Mondiale di ciclismo è una corsa bella e difficile; ambita e capace a volte di essere tremendamente cattiva nei confronti di alcuni dei suoi protagonisti principali. É una lunga, a volte lunghissima (come ieri a Firenze ,quasi sette ore e mezza di corsa su un circuito duro e sotto una pioggia battente) battaglia di gambe e di nervi; di scatti e di tattica. É una corsa speciale, per le implicazioni emotive sempre particolari che comporta il rappresentare la propria nazione, specialmente in uno sport come il ciclismo in cui questo avviene per un solo giorno all'anno; è una corsa insomma che per sua stessa natura, per l'incertezza che la caratterizza e quindi per l'alto numero di corridori che ambiscono a vincerla, si lascia alle spalle, ogni anno, una lunga scia di corridori che tornano a casa sconfitti e delusi. Delusioni che a volte però sono particolarmente brucianti, dolorose, difficili da digerire. Come quelle vissute ieri sul circuito fiorentino da Vincenzo Nibali e Joaquim Rodriguez, accomunati nel dopo corsa da una sofferenza sportiva evidente, palpabile, inconsolabile.

É forse un po' il destino di chi, come loro, corre anche e soprattutto col cuore. Corridori incapaci di risparmiarsi, ciclisti abituati per indole e caratteristiche a mettere sulla strada tutto loro stessi ogni volta che sono in sella; e quindi condannati a vivere con particolare intensità le emozioni che la strada loro restituisce, specialmente quando, come ieri, quel tutto da loro offerto si traduce in un (quasi) niente in termini di risultati, al termine di una corsa in cui peraltro entrambi possono sentirsi in qualche modo traditi: dalla sorte Nibali, finito a terra nel corso del terzultimo giro, proprio quando la gara iniziava ad entrare nel vivo; dal compagno di squadra Valverde, che non lo ha protetto e supportato a dovere nelle convulse evoluzioni tattiche del finale, Rodriguez.

La frustrazione di Purito - Il pianto disperato di Purito sul podio resterà una delle immagini più forti di questo Mondiale fiorentino, simbolo della frustrazione di un corridore tanto generoso quanto sfortunato, che a 34 anni sente  su di sé il peso opprimente delle tante occasioni perse, soprattutto nel corso di un ultimo biennio in cui ha raccolto molto meno di quanto meritasse: lo scorso anno le beffe subite nelle fasi finali del Giro d'Italia e della Vuelta a España; ora l'incredibile epilogo di un Mondiale che la Spagna è riuscita a perdere in maniera davvero sciagurata. Quella di Rodriguez è una delusione che va oltre il valore di una maglia iridata sfiorata e non conquistata, e sconfina nel timore di passare alla storia come uno splendido incompiuto, di vedere associato il proprio nome a fine carriera soprattutto ad una serie di sconfitte brucianti più che alle prestigiose vittorie comunque raccolte (Freccia Vallone e Lombardia nel 2012 soprattutto). É uno sconforto che si è palesato immediatamente sul volto di Rodriguez nel momento in cui a 500 metri dal traguardo è stato raggiunto dal portoghese Rui Costa, corridore in formidabile ascesa e capace di meritarsi la maglia iridata con una condotta di gara impeccabile dal punto di vista tattico nel finale. Rodriguez si aspettava molto di più dal compagno di squadra Valverde, in un contesto in cui la Spagna poteva contare su un'importantissima superiorità numerica, che nel finale avrebbe dovuto proteggerlo dal contrattacco del portoghese e poi eventualmente giocarsela allo sprint in caso di ricongiungimento, lui che era chiaramente il più veloce tra i quattro rimasti davanti dopo l'ultima salita di Fiesole; ed è invece restato a ruota di un Nibali ormai esausto quando Rui Costa si è lanciato all'inseguimento di Purito. Tradito per l'ennesima volta dal suo eccessivo attendismo Valverde; oppure, come suggeriscono i più maligni, occhio di riguardo per il suo compagno di club Rui Costa (che però il prossimo anno sbarcherà alla Lampre) e poca voglia di correre totalmente a disposizione di un connazionale che è stato suo gregario ad inizio carriera, ma con cui ora i rapporti non sono idilliaci. Fatto sta che la Spagna torna a casa senza maglia iridata, e Rodriguez con tante recriminazioni e una delusione che necessità di grande forza di volontà per essere lasciate alle spalle. Chissà se Purito ci riuscirà, se gli basterà una sola settimana e si farà trovare pronto già domenica per puntare al bis al Lombardia, o se magari tornerà all'assalto tra un anno, quando potrebbe avere l'occasione di un Mondiale in casa, a Ponferrada (anche se in Spagna ci sono grossi problemi organizzativi e i percorsi non sono ancora stati svelati) per dimenticare la giornata da incubo vissuta ieri a Firenze.

Il cuore di Nibali - La delusione di Nibali invece è dettata soprattutto dal fatto che questo era un appuntamento più unico che raro per il siciliano: capitano unico in un Mondiale casalingo, al termine di un'annata trionfale che lo ha definitivamente incoronato come riferimento assoluto, simbolo autentico di tutto il movimento italiano. Una responsabilità che Nibali ha dimostrato ancora una volta di sentire sulla propria pelle, non come peso difficile da sopportare che si traduce in eccessiva pressione da gestire; ma come enorme motivazione da cui trarre infinite energie fisiche, mentali e caratteriali: la rabbia con cui si è ribellato a quella che sembrava un'uscita anzitempo dalla contesa, dopo la caduta nella discesa di Via Salviati al terzultimo giro, quella risalita furiosa e repentina sulla penultima salita di Fiesole è la rappresentazione perfetta della voglia del siciliano di onorare fino in fondo un Mondiale che il ct Bettini ha costruito totalmente attorno a lui, e un pubblico che in quel di Firenze si è stretto attorno agli azzurri con lo stesso calore che aveva accompagnato lo scorso maggio la splendida cavalcata del siciliano al Giro d'Italia. 
É stato supportato Nibali da una nazionale italiana mai così convincente in quest'ultimo lustro privo di medaglie (l'ultimo alloro resta il titolo di Ballan a Varese 2008), con gli uomini di Bettini che si sono incaricati fin dall'immediato ingresso nel circuito fiorentino di tenere alto il ritmo per rendere la corsa dura ed esaltare le caratteristiche del capitano, contribuendo in maniera decisiva ad intossicare le gambe dei vari Cancellara, Sagan e Gilbert (i grandi favoriti della vigilia) che sull'ultima salita di Fiesole nulla hanno potuto contro le accelerazioni di Scarponi prima e dello stesso Nibali poi, che hanno fatto definitivamente esplodere il gruppo. É stata la nazionale italiana a dettare i ritmi di questo Mondiale e in sostanza ad indirizzarne i destini anche nel finale, nonostante quell'incredibile caduta collettiva del terzultimo giro, quando nel giro di pochi secondi oltre a Nibali sono finiti a terra anche Paolini (costretto al ritiro) e Scarponi, uomini che erano deputati ad entrare in azione appena riassorbita la bella fuga di Visconti, in quel penultimo giro che invece è stato teatro della entusiasmante e dispendiosa rimonta di Nibali, che proprio in quel frangente ha lasciato sulla strada quelle energie che sono poi mancate nell'ultima tornata, in cui Nibali è andato ancora fortissimo ritrovandosi però nella scomoda posizione di dover inseguire, dopo quella curva sbagliata scendendo giù da Fiesole che gli ha fatto perdere le ruote di Rodriguez, errore che non può che essere considerato diretta conseguenza del capitombolo della tornata precedente . La delusione è tanta, fa male restare ai piedi del podio in un Mondiale casalingo in cui i tempi sembravano maturi per interrompere un digiuno di medaglie che inizia ad essere davvero troppo lungo e che di fatto è stato condizionato da un'incredibile dose di sfortuna; ma in quel di Firenze l'Italia ha ritrovato finalmente una nazionale coesa e con le idee chiare in ogni frangente di corsa, come non si era mai vista nella travagliata era Bettini. Un'Italia che resta a mani vuote ma ha avuto occasione di innamorarsi una volta di più di un ragazzo generoso come pochi, dal talento enorme e dal cuore ancor più grande; che non tradisce mai e che è sempre capace di offrire tutto se stesso alla strada e ai tifosi, ai compagni e al ciclismo. E quindi in grado di risplendere anche in una giornata di cadute e imprevisti; metalli mancati e delusioni amare.