Partita e Bledisloe Cup, questi All Blacks sembra proprio che non trovino rivali in grado di arrestarne la corsa. Perlomeno non può farlo l'Australia, troppo giovane e troppo fragile in difesa per resistere all'orda Nera che travolge tutto quello che incontra sulla propria strada. Anche quando, come oggi, che incappa in giornate tutt'altro che perfette, soprattutto in rimessa laterale. Ma alla fine, ed è qeusto che conta, a Wellington finisce 27-16, il che significa vittoria numero 101 contro i cugini australiani, in attesa della resa dei conti finale con i grandi, storici avversari, quegli Springboks sudafricani stasera chiamati a ripondere nell'infuocato campo di Mendoza. Ma di questo se ne parlerà fra un mesetto circa.
Pioggia di errori - Piove a Wellington, dove la bella notizia è che si gioca malgrado il terremoto di un paio di settimane fa avesse messo a rischio la partita obbligando gli organizzatori a valutare uan sede alternativa. Ma la capitale può godere dello spettacolo dei loro Eroi nazionali, del prodotto sportivo da esportazione per antonomasia. Quindi guerrieri in nero che danno il loro solito benvenuto a tutti gli avversari che transitano da quelle parti: con l'Haka, questa volta guidata da Richie McCaw. Capitano e uomo simbolo dei Blacks, al punto da infrangere la tradizione che vuole un Maori alla guida della danza di guerra. Niente Kapa O'Pango, sufficit animus e la classica Ka Mate!
L'avvio è molto tattico e studiato, ma al minuto cinque il tabellino si smuove: caparbia azione di marca Aussie che arriva a ridosso della linea di meta. Moore sembra schiacciare la palla sulla linea, l'arbitro assegna piazzato che Leali'ifano non sbaglia. Australia avanti 3-0. Palla al centro e i Neri partono alla carica. Furiosamente, ma con grande lucidità: Savea si vede la strada verso la meta sbarrata dal suo omologo in maglia gialla, Folau. Insistono ancora i padroni di casa, e alla fine trovano un calcio di punizione che l'esordiente Tom Taylor (quarta scelta a numero 10, una maglia che pare stregata vista la facilità con cui i proprietari si infortunano, ultimo della lista Cruden) sbaglia. Così come sbaglia anche Leali'ifano la palla del 6-0, che però arriva qualche minuto dopo.
La gioia dei gialloverdi però dura poco, per la precisione minuti due: perchè nella faretra di Steve Hansen c'è una freccia che porta il numero 14 sulle spalle e di emstiere fa l'ala. Si chiama Ben Smith, che rifinisce una bella azione dei neri schiacciando la meta personale numero quattro di questo torneo dopo le tre dell'andata. Taylor completa il lavoro e concretizza il sorpasso, è il minuto 28. A dare poi la mazzata ai canguri ci pensa ancora la premiata ditta Smith (ancora lui, meta numero cinque del torneo che però Taylor nn trasforma) e Taylor, per il 15-6 con cui si va a riposo.
Gioco spezzettato - Nella ripresa il gioco è spezzettato e poco fluido. Errori da una parte e dall'altra si susseguono a ritmo serrato e il match si gioca tutto sulla precisione al piede dei rispettivi cecchini con un botta e risposta fra Taylor e Leali'ifano per il 18-9. Da quel momento in poi le emozioni - già poche in un match francamente noioso - spariranno del tutto: Taylor, che si scrolla di dosso l'emozione dell'esordio con una maglia così pesante come quella di Dan Carter, infila punizione su punizione fino a portare i suoi sul +15. Da parte Wallabies invece è encefalogramma piatto: Genia, sfasato, subisce l'ennesimo intercetto di un lancio al piede, Cooper lo si nota solo per la selva di fischi che gli piovono addosso (malgrado in settimana si siano moltiplicati gli appelli volti a far cessare questa becera abitudine). Fa eccezione l'ala Israel Folau, che intercetta palla nella propria metà campo e si invola verso la meta dopo aver messo a sedere il suo omonimo Dagg con una finta ubriacante. 24-16, partita riaperta. O così credono gli Aussie, perchè nell'azione appena successiva i Neozelandesi conquistano l'ennesimo piazzato che Taylor converte in oro. E' il sipario sul match, è il sipario sull'Australia, che proverà ad approfittare di questa settimana di sosta per riordinare le idee in vista dello scontro frontale coi lanciatissimi Sud Africani. Steve Hansen può invece dormire sonni tranquilli e godersi la sua creatura, un mix felice fra vecchi leoni e giovani emergenti (vedi Tom Taylor) che han già dimostrato tranquillamente al tecnico che sono in grado di vestire una maglia, quella Nera, che nell'immaginario collettivo rappresenta il Rugby. Quello con la R maiuscola.