Si chiude col botto ai mondiali di scherma a Budapest. L'ultima giornata prevedeva la prova a squadre di fioretto maschile e scabiola femminile. C'era grande attesa da una parte per il riscatto dei fiorettisti, chiamati a rispondere alle loro colleghe e a prendersi anche loro quella medaglia preziosa che attesta, se mai ce ne fosse bisogno, la superiorità della scuola italiana del fioretto; dall'altra per Irene Vecchi, chiamata a pilotare le sue giovani compagne d'avventura alal ricerca di una strada per la medaglia che doveva passare attraverso il nugolo infuocato di super team come Usa, Ucraina, Russia e Corea con la sempre insidiosa mina vagante francese. Missione compiuta per i primi, mentre è totalmente mancata la seconda, sempre in difficoltà. Meno male che c'è Rossella Gregorio!
Gregorio show - Che talento la sciabolatrice campana! Se non ci fosse stata lei, oggi molto probabilmente il cammino dell'italsciabola in gonnella si sarebbe fermato molto prima della semfinale per il bronzo persa contro l'Ucraina e della successiva finalina per il bronzo persa dagli Stati Uniti per 45-30. Mostruosa Ross, che rianima anche per un solo istante le speranze di medaglia azzurre dopo che Irene Vecchi prima e Lucrezia Sinigaglia poi erano state schiaffeggiate dalla Wozniack e dalla Zagunis senza tiuscire a mettere loro nemmeno una stoccata: salita in pedana sullo 0-10, ha letteralmente demolito la povera Eliza Stone, giovane promessa della spada USA con un 15-4 da antologia. Tanto che il ct USA ha dovuto correre ai ripari e tirare fuori la frastornata schermitrice per fare posto alla più scafata Muhammad. Ma non è stata l'unica prodezza della giovane salernitana: basti citare anche il 5-4 concesso a Olga Kharlan nella semifinale contro l'Ucraina. Brillante con la Polonia, Irene Vecchinon è stata ugualmente desiciva contro l'ucraina: il 6-0 alla povera Galina Pundyk, mandata poi a riflettere in panchina dal ct ucraino, è in seguito vanificato dai parziali negativi rimediati dalla Komashchuck e dalla Kharlan. La mossa di inserire la Voronina si rivela vincente, mentre non ha esito la medesima carta giocata dal ct Sirovich: fuori Lucrezia SInigaglia, dentro Livia Stagni. La romana però ha l'arduo compito di debuttare contro Olga Kharlan e prende 6-3, mentre nel successivo assalto contro la Komashchuk, campionessa del mondo U20 e urlatrice di prim'oridne come la collega Egorian, prende 5-1. Con la sola Rossella Greogrio a girare - pur se a mille - è dura arpionare la medaglia contro gli Usa e infatti, fiammata di Ross a parte, il resto dell'assalto non ha storia. Tuttavia non si può parlare di delusione: vero, Irene Vecchi non ha è stata la solita super-Ire che ci aveva ben abituati in questi tempi, ma la prova di oggi non cambia di certo il giudizio sulla livornese e sulal sua stagione, ampiamente positiva, partita con la vittoria di Londra in coppa del mondo (con tanto di scalpo della Kharlan) e terminata con il bronzo mondiale di venerdì.
Intanto sulle altre pedane lo spettacolo veniva garantito da una Dyachenko in vena di follie: salita in pedana forte di un vantaggio di dieci stoccate, la russa ha rischiato fortemente di farsi eliminare e solo una stoccata discussa sul 44 pari le ha evitato di dover tornare a casa a piedi da Budapest fino a Mosca. Ma parlare solo dei salidi fuori stagione della Dyachenko sarebbe ingiusto verso la coreana Kim, che dimostra ancora una volta che il titolo di Londra non è arrivato per caso: una rimonta del genere non è nemmeno lontanamente concepibile se non si è fenomeni.
A proposito di fenomeni: Olga Kharlan assurge da regina a divinità in una serata in cui sembrava essere diventata improvvisamente l'anello debole della squadra. Perchè dopo due assalti su tre, il suo conto era da allarme rosso, -9 dopo aver preso bastonate da Gavrilova (5-1) e Egorian (6-1); e quando è salita in pedana per l'ultimo assalto il punteggio diceva 40-35 Russia con davanti la migliore delle russe da affrontare. E' qui che viene fuori la vera Campionessa, quella con la C maiuscola e in grassetto, quella che ti fa il miracolo quando ormai il chiassoso pubblico russo - munito per l'occasione anche di Vuvuzela, strumento non proprio indicato per l'utilizzo in palazzetto indoor -si stava pregustando l'ennesima esecuzione dell'inno nazionale. La complicità è ancora quella della Dyachenko, che arrivata a 42 stacca la spina e favorisce la risalita della numero uno al mondo. Stoccata dopo stoccata, magia dopo magia: come un'uscita in tempo irridente o una parata/risposta in spaccata da cappottamento sulle poltroncine. Una macchina, uno spettacolo schermistico unico. Non bastasse tutto ciò, la Dyachenko è anche vittima di un infortunio che la costringe ad uscire e a lasciare il posto alla Galiakbarova. DIfficile pensare che qualcuno in quel momento volesse essere nei suoi panni: entrare a freddo, in un finale mondiale e con l'avversaria (e che avversaria!) in rimonta prodigiosa. La povera Dina fa quel che può, si riporta anche sul 44 pari, ma nella roulette finale incappa in un parata e risposta di Olga Kharlan che chiude i giochi. Finisce 45-44, come a Zagabria ma a parti invertite. La bellezza della scherma in questo flash, in quella risposta che a Zagabria si era infranta sulla coccia dell'avversaria e che questa volta illumina il tabellone. Gioiscono le ucraine, piangono le russe. E' il dramma personale di Ekaterina Dyachenko, zoppa e in lacrime, il dolore fisico che si assomma ai sensi di colpa verso le compagne per un bis iridato sfuggito di niente.
Super fioretto - Oro doveva essere e oro è stato. Sofferto, guadagnato con la classe e la determinazione dei nostri Campioni al termine di un assalto abrasivo contro la solita Russia. Una battaglia durissima, durata oltre un'ora e mezza e risolta all'ultima stoccata, lì dove le gambe tremano e il fioretto diventa improvvisamente pesante come una spranga di ferro. Ogni minimo errore può essere fatale, sorpattutto se dall'altro lato della pedana ti trovi un osso duro come Cheremisinov e il tempo scorre inesorabilmente sotto un paio di occhi celti dietro una maschera. 39 secondi e 43-41 Russia, il sogno dorato che sta per trasformarsi in un incubo, nella beffa firmata Cerioni. Ma, come recita il celebre adagio, quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare e allora è subito Baldo show. 43 pari, poi 44 pari quindi quell'urlo liberatorio in ginocchio sulla pedana. E' finale, la medaglia è certa. Andrea Cassarà rischia di capottarsi per entrare in pedana a festeggiare il compagno, la tribuna gremita di azzurri esplode di gioia, mentre tacciono le vuvuzelas russe. E' tripudio italiano, lacrime russe. Un leit motiv nella giornata di oggi, come abbiamo visto, le lacrime russe.
Fra l'Italia e il titolo ci sono di mezzo solo gli USA: i ragazzi terribili formato famiglia, con Massialas padre in cabina di regia e Massialas figlio braccio armato in pedana, riescono ad avere la meglio dei francesi al termine di un assalto che ha dell'incrediible, con i transalpini che alla fine del secondo giro conducono per 30-24 per poi trovarsi sconfitti per 45-35. Un parziale di 21-5, devastante. Per gli Stati Uniti è un gentile cadeau infiocchettato da Cadot, che viene capottato da Meinhardt per 11-2, con Marcilloux e Le Pechoux a completare il suicidio perfetto dei transalpini. Che alla fine della giornata si consolano comunque con il bronzo preso a spese della Russia.
Italia -Stati Uniti è invece un match vicino al no contest, quasi come quello delle ragazze sabato. Cassarà (finalmente in giornata si e poco propenso alle accademia), Baldini e Avola (che ha tirato la finale al posto di un Aspromonte apparso in sofferenza contro la Russia) portano a scuola i talentuosi ma ancora giovani americani, orfani del campione del mondo Chamley Watson ai box causa infortunio. Finisce 45-33, una vittoria molto più netta di quanto suggerisca il punteggio. Fa festa ancora l'italfioretto, va a casa felice anche la squadra americana: oro individuale e argento a squadre. Ma sorpattutto la certezza che, con un pizzico di esperienza in più da accumulare nei prossimi anni, questi ragazzi possono diventare dei clienti davvero brutti in ottica Rio 2016.