Nel moderno limbo dominato dall'incertezza più totale, vuoti di pensiero e anime brulicanti di pensieri estinti e subdoli, nel teletrasporto di una condizione passata rivisitata in chiave moderna e alquanto folle.. c'è ancora speranza. Fondamenta che reggono palazzi di cristallo, abitati da cannibali giganti in grado di rivolare un'uggiosa domenica di inizio ottobre, sconquassata da decreti e paure già viste, stropicciata da quella pausa delle Nazionali che non piace proprio a nessuno, nemmeno alle Nazionali stesse.
Uno spagnolo che ha la terra rossa nelle vene, altro che sangue, un inglese con le treccine veloce come il vento e Atlante che nella notte di Orlando prende il mondo sulle sue spalle catapultandolo in un Universo distante, come fossimo su Fortnite. Quel piccolo distretto senza paure e debolezze, all'apparenza, ma pieno zeppo di ritorni storici e chiacchiere da far accapponare la pelle, un piccolo distretto abitato da pochi eletti, quelli in grado di rivoltare una giornata, un periodo storico sconnesso e pieno di insidie.
Sono certezze su cui poggiano i sogni di molti, questione di priorità e di cuore e mai sottovalutare il cuore dei campioni. In un freddo pomeriggio tedesco Lewis Hamilton raggiunge quota 91 vittorie in Formula 1 agganciando un certo Michael Schumacher, con tanto di casco rosso nelle sue mani donato da Mick, il figlio del Kaiser. Passaggi, attimi e saette come quelle rifilate da Nadal a Djokovic sulla terra rossa di Parigi: la tredicesima sinfonia nel terriccio d'oro di casa sua, il ventesimo slam in carriera come Roger Federer. La nemesi soprannaturale di uno sport elegante, una tirannia senza giochi di potere ma contornata da quel profondo rispetto che lega i più grandi, solo i più grandi.
Dal pomeriggio europeo al tramonto di Orlando, ossimoro perfetto per illuminare l'alba di un nuovo anello, di quel capolavoro che Atlante, alias Lebron James, ha regalato al mondo stupendo ancora, dopo sedici anni sul quel parquet, dominando come gli Dei dell'Antica Grecia. Nella stagione più lunga di sempre nella storia della NBA il destino (con la maglia numero 23) ha regalato il finale che tutti avrebbero voluto: l'anima di un unico grande corpo verso il Mamba, cenni storici e litri di lacrime mescolate al fumo dei sigari in vesta. Domina il giallo, domina il viola in quella bolla che, con molta probabilità, verrà replicata anche nel nostro campionato, appeso ad un filo sottilissimo e fragile. Ma lo spettacolo deve andare avanti.
Perché lo sport non è un priorità, è essenziale. Perché il trasporto emotivo e la capacità di rivoltare una triste domenica di ottobre è un privilegio che spetta a pochissimi. Lo sport narra la vita attraverso gesti che non appartengono a questo pianeta, narra di uomini e donne nati per essere quello che sono oggi, narra di valori e di comportanti da tramandare attraverso le generazioni. Narra di ogni singola cellula del nostro corpo che possa vibrare di gioia dopo un gesto, un sorpasso, una rete. Saltare su un divano o abbracciare, seppur virtualmente, un amico distante chilometri. E' una forza della natura distante dalla natura stessa, compagna primigenia di giganti come noi. E' quell'universo in cui non ci si ammala di terrore ma di essenziale felicità.