In molti si sono chiesti perché il Mondiale del 1990 sia stato così importante per l'intera penisola italiana, molto di più dell'Europeo di dieci anni prima. L'aria che si respirava in quei trenta giorni, in cui l'Italia e le sue bellezze erano sotto gli occhi di tutti, era particolare. Il Mondiale è giunto in un periodo glorioso per i club italiani: infatti, la Juventus ha battuto la Fiorentina nella finale di Coppa UEFA, il Milan di Sacchi ha vinto la Coppa dei Campioni e la Sampdoria di Boskov ha vinto la Coppa delle Coppe. Un dominio assoluto nelle coppe europee, propiziato da Nazionali di talento, non solo la nazionale maggiore, ma anche l'Under 21 e l'Under 19, che erano sempre tra le prime 3 di ogni torneo, con la prima che avrebbe dominato gli Europei degli anni 90. Il comandante della spedizione italiana per il Mondiale era Azeglio Vicini, che aveva allenato la prima Under 21 della storia. Un uomo della Federazione, chiamato nel difficile compito di sostituire Enzo Bearzot, vincitore del Mondiale spagnolo del 1982.
Agli Europei, con una squadra piuttosto giovane, arrivò in semifinale e il Mondiale era il luogo adatto per far emergere tutto il potenziale della sua nazionale. Tra tutte le convocazioni, una in particolare passò inosservata, come se si trattasse del terzo portiere o di una riserva, la convocazione di Totò Schillaci, giocatore della Juventus autore di 15 goal in 30 partite di campionato. La squadra italiana era nettamente superiore all'Olanda di Gullit, Van Basten e Rijkaard, anche all'Argentina di Maradona e alla Germania allenata da Beckenbauer. La partita d'apertura fu giocata a San Siro e a sorpresa, l'Argentina detentrice del titolo perse contro il Camerun. Quel Camerun aveva in porta Thomas N'Kono, idolo di un giovanissimo Gianluigi Buffon, famoso per le sue parate spettacolari e per il fatto che indossasse i pantaloni di tuta anche con 40 gradi. Il Camerun schierava anche Roger Milla, formalmente ritirato dalla nazionale e in forza a una squadra sperduta nell'Oceano Indiano, ma richiamato a gran voce dai vertici della Federazione camerunese, e mise a segno 4 goal trascinando la squadra africana fino ai quarti di finale, in quello che rimane il miglior risultato di una squadra africana in un Mondiale, insieme al Senegal del 2002.
Sempre a Milano, si giocò un curioso derby negli ottavi di finale: a San Siro andò in scena Olanda-Germania, gli olandesi del Milan contro i tedeschi dell'Inter. A sorpresa, la Germania (che da poco si era unificata) battè l'Olanda con i goal di Klinsmann e Brehme. Tornando all'Italia, l'esordio non fu dei più facili contro l'Austria; gli austriaci non concedevano varchi agli italiani e fu così che Vicini mise a sorpresa Totò Schillaci. Dopo neanche cinque minuti dal suo ingresso, il palermitano siglò il goal vittoria e da lì in poi fu infallibile. Lui stesso ammise, molto tempo dopo, che quello fu il mese più bello della sua vita, privo da malesseri personali e fisici, un'esperienza unica che racconta tuttora con gli occhi pieni di gioia, gli stessi che aveva dopo ogni goal. Nella seconda partita ci pensò il "Principe" Giuseppe Giannini a far vincere l'Italia. Ma gli azzurri ancora non convincevano, viste le difficoltà a far goal. Decisiva fu la sfida contro la Cecoslovacchia vinta per 2-0; goal di Totò Schillaci e raddoppio di un giovane Roberto Baggio, che dribblò la Ceco e la Slovacchia per poi concludere con un goal. Fu il goal che fece conoscere 'il Codino' al mondo intero. Agli ottavi, il solito Schillaci e Aldo Serena si occuparono dell'Uruguay, ai quarti, l'Irlanda di Jackie Charlton fu eliminata da un tap in di Schillaci: ormai ogni pallone che transitava in area di rigore era suo. L'Italia giunse alle semifinali e l'avversario era tutt'altro che abbordabile: l'Argentina, che aveva perso anche il portiere titolare, aveva ripreso smalto grazie alle giocate di Maradona e alle parate del portiere di riserva , Sergio Goycochea.
Lo stadio era il San Paolo, casa di Maradona e l'accoglienza non fu da notti magiche (come cantavano Gianna Nannini ed Edoardo Bennato), come accadeva spesso all'Olimpico: una parte di tifosi presenti allo stadio e di fede napoletana iniziò a intonare cori per Maradona, questo destabilizzò leggermente gli italiani. La partita venne sbloccata dal solito Schillaci e salvata ripetutamente da Goycochea, autore di un miracolo su una punizione di Baggio. Ma al '68 una sciagurata uscita di Walter Zenga consegnò l'1-1 a Caniggia. L'Italia provò a riportarsi in vantaggio ma trovò un muro davanti a sè. Arrivarono i rigori, dove Goycochea ipnotizzò Donadoni e Serena spedendo la sua Nazionale in finale contro la Germania. L'Italia si rifece parzialmente battendo l'Inghilterra nella finale per il terzo posto, mentre in un atto finale parecchio soporifero, la Germania vinse con un rigore di Brehme.
Fu un successo molto importante per i teutonici: non partivano da favoriti e si erano riuniti da pochi mesi, da quando nel novembre del 1989 cadde il muro di Berlino. Non erano forti come gli italiani, ma riuscirono a ottenere il massimo giocando da squadra unita per siglare finalmente un'unione tanto attesa. L'Italia del 1990 verrà ricordata come una della Nazionali più forti a non aver vinto un Mondiale, ma lasciò nel cuore degli italiani delle emozioni mai provate prima, perché oltre alla pessima mascotte "Ciao", oltre ai discussi stadi appena costruiti, agli italiani rimase la gioia negli occhi di Schillaci, un ragazzo di strada che si trovò sotto lo sguardo del mondo intero per circa un mese e con la stessa fame di goal che aveva quando giocava nei campi di periferia in Sicilia, con le scarpe rotte e i palloni sgonfi.