"Se valessero soltanto gli schemi, allora Messi non vale 500 milioni, Ronaldo non vale 400 milioni, Higuain non vale 100 milioni". In una delle sue interviste di ieri sera dopo la vittoria della sua squadra ai danni dell'Inter, Max Allegri si è lasciato andare ad alcune esternazioni che hanno confermato la sua filosofia pragmatica, più legata alla qualità dei giocatori a disposizione che non all'organizzazione generale della squadra. Quell'organizzazione che la Juventus ha fatto vedere raramente nella stagione 2017-2018, salvo alcune giocate conosciute e legate essenzialmente alle caratteristiche dei giocatori, vedi il classico cross sul secondo palo per Mandzukic o le combinazioni fra Dybala ed Higuain nello stretto. I risultati non possono non dare ragione, almeno in parte, ai bianconeri ed al loro allenatore, ma le prestazioni recenti sono state tutt'altro che convincenti ed aprono alcuni dubbi sul futuro della Vecchia Signora, indipendentemente da quello che sarà (o meno) il raggiungimento del settimo Scudetto consecutivo.
Partiamo dal presupposto che la Juve ha ottenuto 88 punti su 105 disponibili in Serie A sinora ed è difficile pensare di fare meglio, in assoluto. Tralasciando i pareggi con SPAL e Crotone, tutte le altre non-vittorie dei campioni d'Italia sono arrivate contro alcune fra le squadre migliori del massimo torneo nazionale. Parliamo quindi di risultati di altissimo livello. Eppure la sensazione è che la maggioranza del potenziale sia ancora inespresso, con attaccanti fra i migliori al mondo costretti a giocare lontanissimi dalla porta ed un'idea di gioco che si è vista a tratti, solo con la squadra in palla ed al meglio sia fisicamente sia mentalmente. Il discorso è sintetizzabile semplicemente: contro qualsiasi avversario, Madama accetta di difendere nella propria metà campo e subisce qualsiasi stile di gioco, per poi vincere (quasi) sempre con un episodio o una giocata favorevole. Mentre sulla carta viene facile pensare che contro chiunque la capolista avrebbe la possibilità di imporsi, se presentasse con continuità un'idea per il controllo degli spazi, un meccanismo di uscita palla, una maniera per ottenere un vantaggio posizionale.
La controprova in tal senso arriva da tutte quelle partite nella gestione di Allegri in cui la squadra ha davvero giocato bene, in senso stretto. A Monaco contro il Bayern nel 2016, in casa contro il Barcellona nel 2017, più di recente anche al Bernabeu contro il Real Madrid. Partite in cui i bianconeri hanno imposto una strategia ed hanno messo sotto per lunghe fasi i primi tre top club europei. È impossibile pensare di avvicinarsi con più costanza a quel livello prestazionale, e non di proporlo una o due volte l'anno? L'ultimo salto di qualità della crescita juventina è proprio qui, nel costruirsi un'identità e non nel dipendere praticamente solo dalla condizione dei singoli, come avviene allo stato attuale. Senza i campioni nel calcio non si vince, è vero, ma è altrettanto vero che i campioni andrebbero messi in alcune condizioni ideali per rendere. "Nessun singolo vale più di una squadra": il pragmatismo allegriano sembra aver travalicato anche questa frase, una delle certezze inossidabili della storia del calcio.
La Juventus dell'anno prossimo, indipendentemente dalla vittoria di uno o più trofei nel prossimo mese, partirà con questi dubbi di cui sopra da risolvere. Un processo che si è provato ad affrontare anche ad inizio anno, quando la natura della squadra era diventata più aggressiva, quando poi però la media di un gol e mezzo subito a partita ha cambiato i piani. È realistico pensare che la Signora riproverà ad assumere un abito diverso nella stagione futura, ma dovrà farlo con più coraggio e magari anche al costo di lasciare qualcosa per strada nel cambiamento. Puntare sulle idee con forza nel calcio è qualcosa che paga, alla lunga. Allegri, da maestro della gestione del gruppo qual è, potrebbe essere il più adatto ad iniziare un processo del genere; dall'altro lato però dovrà cambiare alcune sue posizioni per far spazio ad un calcio diverso. Altrimenti i campioni d'Italia saranno sempre questi, e non è detto che sia malissimo. 88 punti su 105 non sono pochi; il rimpianto di non aver mai provato a fare di più però pesa più dei punti.