Una crisi senza fine. Arriva dall'Olimpico, come già tante volte nei momenti di crisi, il certificato di malattia terminale per questa Roma: la squadra di Di Francesco ha perso totalmente le briglie del suo campionato, e ora la situazione diventa ardua per Champions, onore e per gli stimoli da qui a maggio.

Allarmata già da tempo, la piazza si trova inerme di fronte all'ennesimo show negativo, confermato da una prestazione sottotono, farraginosa, spenta. La Roma non gioca per tutto il primo tempo, sottomessa da una Samp puntuale, veloce, ma non particolarmente aggressiva. Eppure, la difesa romanista deve affidarsi in più circostanze alle prodezze di Allison per impedire il vantaggio blucerchiato. Nel momento di massima spinta Doria, arriva però come manna dal cielo un rigore, importante, da sfruttare. Tanti tasselli sembrano andare in una posizione giusta. 

La maledizione prosegue, invece, e si allunga la lista dei rigori falliti. Anche Florenzi, ormai, sconsolato, tira un rigore da campionato provinciale, facile preda di Viviano. Da lì, c'è una partita di sola iniziativa dei singoli, di puro caos tattico. Di Francesco non vede più nulla e cambia a caso giocatori per altri giocatori. I leader si nascondono, Nainggolan sparisce dal terreno di gioco, Perotti entra senza voglia, Dzeko si assenta dalle manovre. I due centrali, Manolas e Jesus, sono perennemente fuori posizione, distratti. La Roma cade sotto i suoi stessi colpi. Qualche folata, improduttiva, non basta e sembra scritto nei cieli il pari, l'ennesimo, di una mesta stagione. Ma la beffa è in agguato e arriva la zampata di Zapata, a gara praticamente chiusa. Ennesimo gol subito su triangolazioni non chiuse, su fraseggi avversari totalmente prevedibili, eppure, lasciati fare. Ennesimo capitolo, forse non ancora l'ultimo di questa amara annata giallorossa (forse la peggiore per gioco e qualità negli ultimi anni), di un disastro annunciato e troppo spesso sottaciuto per questa esaltazione tutta capitolina, frutto di un pur comprensibile amore, ma oggi totalmente smentita. Una Roma condannata a gennaio alla più torbida delle mediocrità. Una Roma in autogestione che - ora - deve tornare a vincere anche solo per rendersi conto del terreno perso, delle occasioni buttate. Del male commesso.