A tutti fa piacere essere la miglior difesa del campionato. Soprattutto quando siamo a pochi minuti, 90' (180' per la Roma) dalla fine del girone d'andata e quando quello della difesa è sempre stato il tuo punto debole. E ancora perché chi pensava che Di Francesco fosse un dogmatico dell'attacco senza difesa si è dovuto ricredere. Insomma, tutti fattori che collocano la Roma su ottimi lidi, con 11 reti subite in 17 gare di A e 6 in altrettante gare di Champions. Una chiusura importante che ha i suoi protagonisti evidenti, da Allison a Fazio, con Manolas, e poi le importanti attenzioni tattiche di Florenzi e Kolarov, giocatori che stanno esprimendo un calcio conforme ai dettami di Di Francesco, con qualità.
Però il tempo di bilanci, dopo che la Roma si ritrova un po' attardata in campionato, fuori dalla Coppa Italia, e con gli occhi sull'ottavo di Champions, non può essere solo espresso in questo modo, deve guardare anche all'altra fase di gioco. La Roma concede poco (poco più di 1 tiro in porta a partita, in media), subisce poco ma ha un problema che nel mese di dicembre si è reso evidente con forza: i gol fatti. Dal tabellino giallorosso escono poche marcature, infatti, a causa evidentemente di una fase di stanca dei suoi giocatori offensivi, impiegati tanto in quest'anno solare, sia chi ha giocato tutti i 12 mesi in maglia giallorossa, sia chi ha cambiato squadra nel tempo.
Sono 28 i gol fatti in campionato dalla Roma, 9 in Champions, 1 in Coppa: il computo è basso, evidentemente, rispetto alla forza offensiva. L'ultimo mese dell'anno (manca ancora la sfida interna col Sassuolo, peraltro lanciato) ha visto solo 6 gol segnati dai giallorossi, uno solo nel parziale dalla punta di diamante dello scorso anno, Dzeko che, pure, questa stagione l'aveva cominciata nel migliore dei modi. Con lui, Perotti ed El Shaarawy non trovano il gol con la frequenza di prima, Schick si è appena sbloccato ma sul suo nome pesano ancora incertezze e dilemmi (non certo tecnici, ma mentali); Under e Defrel sono invece un vero e proprio mistero tattico e valoriale.
Un quadro che non va frettolosamente definito tragico, o di crisi, perché falsa e incompleta sarebbe una valutazione ancorata a un mese di lieve calo, mese per di più interno alle lotte e per nulla ancora decisivo, ma un quadro senz'altro da analizzare e frutto, in realtà, di problemi che rimandano ad altre dinamiche. Il centrocampo giallorosso infatti è in questa fase imprigionato in un modulo che non risponde alle esigenze della squadra, incastrata in un 4-3-3 che non viene espresso con la chiarezza richiesta da Di Francesco, che tende infatti a modificarlo in corso preferendogli altri scacchieri. Causa logica di questa mancata spinta sono meno palle giocabili di sponda per Dzeko, che quindi dialoga meno con i suoi colleghi di reparto, ed è costretto a salire molto per prendere possesso del gioco. Accanto a lui, regna l'incertezza: Perotti messo sugli esterni salta bene l'uomo ma non riesce poi a proporre palloni giocabili e dentro l'area c'è insicurezza su chi debba andare a prendere il pallone, quando Schick è in campo.
Discorsi di modulo che si associano, va detto, con i 17 legni colpiti dalla Roma in questo avvio di stagione, tantissimi, e sopra ogni possibilità. Ci sono poi anche 3 rigori sbagliati a completare il quadro.
Dunque la costante ricerca di equilibrio tra zona gol e difesa è il primo pensiero post-Natale di Di Francesco. Gare come Fiorentina-Roma (dello scorso novembre), per esempio, potrebbero essere la basi di ripartenza per ritrovare una maggiore mole di gol e prendere fiducia, magari adattando l'aspetto tattico (ferma restando l'assoluta e giusta autorità che merita il mister) a un 4-2-3-1 mobile, simile in fondo alle già optate soluzioni di questi mesi. Un compito sicuramente difficile, ma a cui la Roma dovrà adempiere per restare in alto nel 2018.