La Juventus ha finalmente deciso di compiere il famigerato passo verso la difesa a quattro. Probabilmente, ciò che più affascina e induce Allegri al cambiamento è proprio il profumo di castagne e melograni e le tonalità ocra-rossastre dell'autunno. Accadde due anni fa. Quasi due anni or sono per la verità, poiché sarà soltanto domani la ricorrenza dell'anniversario. La partita fu sempre di Champions, la giornata la stessa, così come lo stadio. Si giocò contro l'Olympiacos, punto di partenza per l'emozionante rincorsa alla finale di Berlino. Ieri, con il Lione, l'augurio di tutto il popolo bianconero era proprio quello di poter ripercorrere esattamente la stagione 2014/15, magari con un esito diverso. Non è stato così sin dal principio, Tolisso ha gelato lo Stadium e imposto l'1-1.
Lo scrittore francese, Marie-Henri Beyle, nel XIX secolo, descrisse la patologia che poi assunse il suo pseudonimo, verificandone in prima persona gli effetti. Soggetti che al cospetto di opere d'arti particolarmente evocative, come quelle di Michelangelo e Caravaggio, accusavano malessere fisico seguito da ansia, panico, palpitazioni e difficoltà nella respirazione. A livello psichico, gli affetti da tale patologia sentivano l'impellente bisogno di tornare nella propria terra. Ora, la Champions League non può certo essere paragonata a monumenti artstici di tale portata ma l'effetto che produce nei bianconeri è decisamente paragonabile. Quando la Juventus sembra toccare il cielo con un dito, ecco che sopraggiungono le vertigini e la nostalgia della cara vecchia Serie A, mirata al conservazionismo.
Basta con la Minimal Art esasperata, quella che relega le uniche emozioni nelle disattenzioni avversarie e nella continua ricerca di risolvere la partita da soli. Cosa, davvero, non ha funzionato nella minima produzione di gioco nel 3-5-2 bianconero? La staticità dei centrocampisti. Per comprendere il nesso, la tesi di Coverciano di Allegri svela l'arcano: nel centrocampo a tre, con il vertice basso, per il livornese ogni giocatore deve possedere determinate caratteristiche. Il tecnico non aspettava altro che il rientro di Marchisio per poter variare la composizione tattica.
Colui schierato vertice basso deve rispondere a questo preciso identikit: possedere carisma per poter comandare i due interni quando non in possesso palla e dirigerli nelle posizioni giuste per organizzare la riconquista della sfera; avere una buona tecnica per dettare i tempi; avere senso tattico, per giocare sul corto sul giro palla e farsi punto di riferimento per gli altri compagni; padroneggiare il calcio lungo per trasformare prontamente l'azione difensiva in offensiva o, semplicemente, per cambiare fronte di gioco quando pressati; essere abile nelle verticalizzazioni senza perdere la posizione da schermo; staccarsi raramente in avanti per non scoprire la zona centrale.
Due esempi, forse gli unici due della partita, di come avrebbe dovuto giocare la Juventus con il 4-3-1-2. Verticalità e movimento funzionale di ogni componente offensivo.
L'ultimo punto elencato spiega immediatamente perché Allegri non veda Mario Lemina nel ruolo basso. Il francese ha la propensione a buttarsi nel varco, dimenticando la delicata porzione di campo che ricopre. Qualsiasi punto scelto random nel pentolone potrebbe servire, invece, a bollare il nome di Hernanes con un 'no' in caratteri cubitali. Essenziale, dunque, il rientro del principino. A beneficiarne sembra essere la squadra in generale, ma chi dovrà lavorare molto nello schema è proprio Miralem Pjanic, che compone lo scheletro centrale dell'undici riscoprendosi enganche proprio come ai tempi trascorsi allo Gerland. Contro i francesi, il calciatore bosniaco supporta i due attaccanti Mandzukic e Higuain, rivoluzionando il modo di stare in campo. Cosa cambia teoricamente? Accentramento e raggio d'azione a 180°, meno coperture su ampi spazi, pressing localizzato sul play basso del Lione e, di conseguenza, maggiore lucidità nel decision making e nell'elaborazione dell'assist. Lo scivolamento di Pjanic, consente ad Allegri di inserire atletismo, generosità e forza fisica con l'innesto di Sturaro.
Il canovaccio tattico della partita è semplice da inquadrare: Lione attendista come d'abitudine non avendo un vero e proprio gioco (un pò come la Juve), Génésio conferma la linea a quattro inserendo un giocatore di gamba come Rybus in fascia sinistra, Fekir-Lacazette i due attaccanti. In fase di non possesso, i francesi assumono le sembianze di un classico 4-4-2 con marcature piuttosto rigide sugli avversari. Fekir disturba spesso Marchisio, provando a creare un cono d'ombra per bloccare la linea di passaggio mentre Ghezzal si accentra per prendere in custodia Sturaro. Tolisso si occupa di Khedira e Gonalons tiene saldamente la posizione, coprendo la ricezione di Pjanic e dando man forte su eventuali raddoppi o seconde palle.
4-4-2 per il Lione in non possesso, con Fekir e Gonalons che prendono le fonti di gioco bianconere, Marchisio e Pjanic, costringendo Higuain a scendere per dare ampiezza alla manovra con aperture paraboliche.
La Juventus inizia abbastanza bene la partita, come accadde al Parc Olympique due settimane fa: circolazione intensa del pallone da un terzino all'altro, cercando lo sbocco sull'attaccante o la mezzala. Come si evince dal frame, importante è Higuain con il suo movimento a staccarsi per aprire sulle fasce. E' proprio sull'asse Higuain-Sturaro che i bianconeri inducono l'arbitro Kuipers a fischiare il calcio di rigore: assist profondo per il taglio del 27, Diakhaby lo mette giù causando il penalty. Era partita bene la Juventus, salvo poi perdersi nelle proprie insicurezze oltre confine. C'è da dire che i meccanismi del nuovo assetto sono da oliare, da provare e riprovare. Pjanic risulta abulico e fuori dal gioco, pur collocandosi nel cuore del campo: probabilmente, è il tipico periodo di appannamento del bosniaco ed è, quindi, inutile aggrapparsi a sistemi o posizioni al momento.
L'opportunità per il raddoppio è divorata da Higuain, dopo il grande lavoro di Mandzukic fatto da pressing intenso e sportellate. Niente da fare. Dalla parte opposta, il Lione punge raramente in contropiede con i ficcanti inserimenti di Tolisso. Ma nella testa dei calciatori bianconeri comincia ad annidarsi la convinzione che l'1-0 possa bastare. Ennesimo errore di valutazione, perché nella spedizioni internazionali la proposizione "può bastare" non concilia con chi vuole arrivare fino in fondo. "Stasera dopo l'1-0 non si doveva più rischiare e invece è successo. Alla fine vediamo il positivo", spiega nel dopo partita un Allegri chiaramente sotto effetto della sindrome sopracitata. Cosa si ripresenta, quindi, in campo? Superficialità, ostentata sicurezza nei propri mezzi e, di conseguenza, la staticità mentale prima ancora che fisica la quale consente al Lione di prendere il largo.
La gif di Sturaro si commenta da sè.
L'ultima mezz'ora di gioco è letteralmente di marca ospite, con il ritorno alla difesa a 3 da parte di Allegri che delinea anche la strategia da intraprendere: difesa bassa e contropiede, se possibile, con gli ingressi di Alex Sandro e Cuadrado. Come accade spesso in questi casi, in particolare per la Juventus, arriva la consueta beffa. Punizione regalata ingenuamente da Marchisio, - e ciò rafforza il concetto della mentalità assente -, si inserisce nell'area piccola Tolisso che prende il tempo e batte Buffon. Con uno stanchissimo Mandzukic e senza Higuain, i bianconeri non riescono ad imbastire una reazione fatta di cuore ed orgoglio, ma rischiano addirittura di perderla con l'errore (!) di Barzagli che spalanca una prateria a Lacazette. Il francese grazia la Juve, evidentemente impietosito per la patologia che l'affligge.