Oggi Dejan Savicevic compie 50 anni, uno di quei giocatori che più ha fatto godere i palati fini dei tifosi del Milan in un certo momento storico della società rossonera. Magari non troppo continui, ma fino a quando era dentro alla partita non si poteva "trattare" con il Genio. Si andava dove diceva lui e nel modo in cui decideva Savicevic.

Proprio per questa ricorrenza particolare Savicevic ha rilasciato un'intervista alla Gazzetta dello Sport in cui ha parlato del Milan di oggi, diverso da quello in cui lui ha giocato, incantato e vinto: "Non ci posso credere. Ci metterò anni ad abituarmi che il Milan non è più di Berlusconi. Credo tutto sia cominciato quando il Milan ha venduto, o dovuto vendere, Ibra e Thiago Silva. Da duemila chilometri non posso giudicare, ma c’erano Cassano, Robinho e Pato che avrebbero potuto portare milioni. Ma quei due no. Ed è stato declino.

Thiago Silva, espnfc.com

Un giorno eravamo il primo club, il Barcellona e il Real di oggi, ora non possiamo più spendere 80 milioni per un giocatore. Non è che Pogbaavrebbe risolto la situazione, ma i Bale, i Suarez non sono più alla portata." Il rapporto avuto con Berlusconi è stato speciale: "Berlusconi mi era vicino, mi aiutava nei momenti difficili. Senza di lui sarebbe finita presto: dopo il primo anno tutto lo staff tecnico era contro di me, dicevano che non mi ero integrato, che non parlavo la lingua, ma Berlusconi ha detto: 'Resta'."

Un pensiero legato anche a quel soprannome, "Genio", poi una riflessione sul suo Milan: "Genio? Il soprannome me l'ha dato un giornalista. All’inizio lo prendevano in giro, dopo il 4-0 nella finale col Barcellona è cambiato tutto. Ai miei tempi era dura, noi 10 facevamo fatica perché comandava il 4-4-2 e gli allenatori non volevano cambiare. Io e Baggio soffrivamo. Oggi almeno, con il 4-2-3-1, c’è quel posto dietro la punta: io facevo l’esterno destro, mi sacrificavo. Ma vincevamo. Mi adattavo. Non ero uno di quantità, saltavo l’uomo ma non potevo correre come Albertini e Donadoni, avevo bisogno di fermarmi. I compagni mi sopportavano, sapevamo che avrei dato altro. Tanto eravamo forti forti forti."