Essere o non essere, questo il dilemma. Peccato che in tempi recenti, il buon vecchio detto di shakespeariana memoria sia stato sostituito soprattutto nella capitale calcistica dello Stivale da un'altra annosa questione: Totti, o non Totti? Inevitabile che l'amore del popolo giallorosso nei confronti del Capitano, soprattutto all'indomani dei tre gol che sono valsi il pareggio di Bergamo e la rimonta dell'altro ieri contro il Torino, sia scoppiato in una manifestazione di affetto smodato che ha messo, ancora una volta, in estrema difficoltà Luciano Spalletti, travolto dall'ondata di tottiani che gli hanno rinfacciato la pessima gestione del rapporto con il numero dieci e totem assoluto giallorosso. 

Tanti gli interrogativi che il tecnico di Certaldo si sarà posto in quel volo da Miami a Roma dopo aver firmato il suo nuovo contratto con la società capitolina, tra i quali: può un allenatore avere un occhio di riguardo nei confronti di un giocatore che non è più, inevitabilmente, il giocatore di un tempo soprattutto dal punto di vista fisico? Può un nuovo allenatore trattare questo calciatore come un prescelto, una sorta di eletto, a discapito del resto del gruppo? E' giusto, al contrario, trattarlo come uno dei tanti, quando ovviamente non lo è? Queste, e tante altre, le questioni alle quali ad oggi Luciano Spalletti non saprebbe ancora rispondere. Tuttavia, nel frattempo, si gode i quattro punti che Totti gli ha fatto guadagnare in classifica, alimentando le speranze sue e della Roma di secondo posto. 

Anzi. L'ingresso del dieci ieri sera ha contribuito, dopo le polemiche (reali o fasulle che siano) del post Bergamo, ad infuocare l'ambiente dell'Olimpico, reso ostile dal vantaggio del Torino da poco siglato da Martinez. L'ondata di entusiasmo che Totti ha portato in campo, ha infuso serenità e tranquillità nei compagni e, paradossalmente, ma nemmeno così tanto, irretito le resistenze dei granata, quasi imbarazzati nel fronteggiare l'avanzata della storia che stava per scrivere un'altra pagina del proprio libro. 

Totti è la Roma. Inevitabile. Lungi dalle intenzioni del tecnico toscano intaccare il passato del monumento calcistico degli ultimi vent'anni della capitale (e del calcio italiano tutto) provando a snobbarlo al crepuscolo della sua carriera. Le necessità di Spalletti, messo spalle al muro ed al contempo salvato in extremis dai gol del pupone, è anche quella però di pensare al bene della Roma, inteso come squadra e società, che in questo momento, soprattutto dal primo minuto di gioco delle partite, non prevede l'utilizzo in squadra di Totti. Di contro, la voglia di sentirsi ancora importante e poco comprimario in rosa del capitano ha contribuito alla scissione delle parti, creando una baraonda che ha diviso tifosi e non solo.

Si inserisce in questo crepitio di mortaretti la volontà, apparentemente irremovibile, della società, che silenziosa ha espresso il proprio volere attraverso la bocca dell'allenatore: Spalletti ha dovuto far muro con stampa e tifosi sul caso Totti, annunciando ufficiosamente la naturale cessazione del contratto del capitano, che nel frattempo rifiuta categoricamente di appendere gli scarpini al chiodo (e visto quel che è ancora capace di fare, tanto torto non ha) e rinnovare il suo contratto con un modesto part-time. Quattro sfide, nel frattempo, al termine della stagione. Quattro gradini che scandiranno il passo d'addio dell'ottavo Re di Roma, che rischia però di essere gravemente macchiato. Una carriera che merita ben altro finale.