Meglio il David di Michelangelo o la Gioconda del Da Vinci? E la poesia di Dostoevskij? Io sono un ‘tolstojano’ fino al midollo e quando l’arte si intreccia con la vita di tutti i giorni vado in estasi. Chi più degli esteti potrà mai condividere il mio pensiero? D’Annunzio e i suoi ‘fratelli’ facevano della loro vita un’opera d’arte, perché l’arte è l’unica convenzione a cui l’essere umano deve sottostare. Preoccuparsi di ciò che è ‘bello’ è molto più semplice che scervellarsi su ciò che è bene e ciò che è male.
E allora ecco che le giocate di Messi, i gol di Ronaldo e i numeri di Neymar prendono vita; diventando sculture pitture e graffiti e abbagliando la vista dei romantici calciofili. Ma perché andare all’estero? Il suolo italiano è (per tradizione) intriso di opere artistiche immense che solo il palato fine dei grandi intenditori riesce ad apprezzare. Firenze, Venezia, Roma e chi più ne ha più ne metta… Sul campo così come sulle tele siamo ancora capaci di dipingere magie e la nostra tradizione non può essere svalutata. Per una volta, dunque, è giusto rendere omaggio ai due artisti migliori della Serie A: Maurizio Sarri e Paulo Sousa. Capaci di costruire creature magnifiche dotate di carisma e prorompenza quasi poetica. Il loro fascino va oltre il rettangolo verde e si fonde con un’atmosfera divina creata dai tifosi sugli spalti. E’ il calcio che ci piace, è il calcio in cui Borja Valero diventa Gabriele D’Annunzio e Higuain assume le sembianze di un Boccaccio qualunque. Sarà coincidenza? Io non credo, vedendo questo Insigne formato Caravaggio (uno dei ‘figliocci di Napoli’). Non ha vinto nessuno, eppure hanno vinto tutti. Hanno vinto gli allenatori, hanno vinto i tifosi, hanno vinto i bambini, HA VINTO IL CALCIO! Napoli e Fiorentina ci hanno deliziato, all’andata così come al ritorno. Al ritorno forse più che all’andata (impresa tutt’altro che scontata). Due squadre costruite per interpretare il ‘gioco’ del calcio e che trovano, sul rettangolo verde, la loro massima espressione artistica. Sprizzano colori, tonalità e sfumature nella stessa direzione. Futurismo calcistico e romanticismo da spalti si fondono in un connubio perfetto dove lo spettatore viene travolto dai ritmi incalzanti e dalla tecnica cristallina.
Le giocate di Borja Valero come un’opera totale di Wagner, i movimenti di Higuain come la Pietà di Michelangelo. I due allenatori l’avevano preparata così: a colpi di pennello, tavolozza e scalpello. La cura per i dettagli fa la differenza e Marcos Alonso, nel bene e nel male, decide gioco partita e incontro cavalcando la fascia come le Valchirie della saga dei Nibelunghi. Tutto in un minuto, tutto in un attimo. Il Pipita si riprende la scena squarciando la Fiorentina come una tela di Lucio Fontana. Il resto è un susseguirsi di emozioni, sensazioni e impressioni che i ventidue in campo tramutano in poesia. La traversa di Kalinic, l’incrocio di Tello e il doppio miracolo di Tatarusanu compongono gli atti dell’ennesima sinfonia beethoveniana.
Il fischio finale sancisce la conclusione di un capolavoro totale, a dimostrazione che il Belpaese non ha seppellito la sua vena rinascimentale. Basta alzare lo sguardo e avere il coraggio di osservare, dipingere, sognare. Il bello del calcio è proprio questo. E poco importa se i risultati saranno altalenanti; il capolavoro aspetta solo di essere concepito. La costanza e la passione faranno il resto; bisogna solo stare attenti a non coprire le nostre opere d’arte. Quella si che sarebbe una vera sconfitta.