"Io non sono nessuno, e non ho ancora fatto niente". Parole di Paul Pogba, a testimoniare l'umiltà di un ragazzo di 22 anni, che rappresenta la star nella Juventus versione 2015/16, quella Juve diversa, come spiega anche lui stesso nell'intervista concessa a La Stampa. "Gli ultimi mesi - racconta Pogba - sono stati diversi rispetto agli anni precedenti, quando eravamo sempre primi e così arrivavamo. Ora è diverso. Anche la finale di Champions, e un giorno voglio vincerla. L’abbiamo persa, ma, come si dice, dalle sconfitte e dagli errori s’impara". Questo è quelllo che il francese si porta in dote dal 2015, un anno importante, nella quale la Juve ha vissuto tanti cambiamenti.
"C’è più responsabilità su altri uomini, anche su di me, e poi dobbiamo pensare a giocare ancora più insieme. Prima avevo di fianco Pirlo e uno degli avversari era sempre su di lui. Ora lo mettono su di me: è un po’ diverso". Una responsabilità che cresce anche nello spogliatoio, dove vige sempre il rispetto per i senatori: "Ascolto i vecchi e poi parlo. Ma soprattutto voglio vincere. Mi incavolo, ma preferisco non parlare quando sono arrabbiato: non è il momento migliore".
"Non sono un dieci, come posizione sul campo. Mi sento un centrocampista ed è un onore portare il numero di quelli che vincono il Pallone d’oro. Nella storia della Juve è una maglia pesante e io voglio onorarla. Quando guardo la mia maglia non vedo né il numero né il mio nome, vedo solo la Juve: con la voglia di dare il cento per cento. E vincere. È un onore, forse per gli altri sarà pesante. Per me è lo stesso, sono sul campo con la gioia di giocare: 10 o 27 è uguale. A volte devo trovare il momento giusto per le cose e quello per fare il passaggio: devo imparare, per questo guardo Iniesta".
L'obiettivo è il miglioramento, al fine di arrivare al massimo, senza essere mai disturbato troppo dalle tante, troppe voci che girano sul suo futuro: "Sono un perfezionista, mio papà mi ha insegnato così. E anche Evra mi dice sempre: ehi, non essere così cattivo con te stesso. Invece sono fatto così e ogni volta mi dico: “Ma non posso sbagliare queste cose”. Se non sei così, non raggiungerai mai la perfezione. Mercato? Se mi vedessero in Cina, qualcuno direbbe che vado a giocare là...". L'obiettivo scudetto intanto torna a farsi più vicino, con la Juve unica avversaria di se stessa, anche secondo Pogba: "Le altre squadre si sono rinforzate. Chi mi fa paura per lo scudetto? Nessuno".
Il francese racconta anche i suoi modelli, asserendo che i suoi campionati preferiti sono due in particolare: "La Premier, la Liga. Osservo sempre quelli che giocano nel mio ruolo: Yaya Touré, Iniesta, Arturo (Vidal), per vedere dove posso ancora migliorare. Ma anche gli attaccanti, e mi chiedo: “Ma come fanno a fare così tanti gol?” Cerco di prendere qualcosa anche da loro, per migliorare".
Mentre segue i propri modelli, Pogba prova ad esserlo per altri, in particolare il suo nuovo compagno e amico argentino che sta stupendo tutti già in questo primo anno in bianconero: "Dybala è il mio fenomeno. Giocare nella Juve e fare queste cose in campo, è una cosa fenomenale. Ammiro la sua tecnica. E poi a me piacciono da matti i mancini: per questo ho cercato di imparare a tirare con il sinistro. All'inizio gli ho detto solo di fare il suo gioco e non pensare di essere giovane, perché sul campo siamo tutti uguali. Così gli ho detto: “Tu sei forte, vai e dacci una mano”. Pallone d’Oro? Può arrivarci. Sa come lo chiamo? Quadrato R2, i tasti che devi premere alla Playstation per fare il tiro a giro: fa sempre gol così".
Il pensiero va però anche all'estate, alla sua Francia, impegnata agli Europei. E Deschamps, uno che alla Juve qualcosa ha lasciato, Pogba lo racconta così: "La Juve è il suo club, quanto gli piace. Vede sempre le nostre partite. Lui al massimo ti dice: bravo. È il massimo del complimento. Un consiglio che mi da? "Paul, gioca semplice". Agli Europei, con la squadra che abbiamo possiamo andare molto lontano: non dico che vinciamo sicuro, ma possiamo farlo. Anche l’Italia può andare lontano".
Prima però c'è uno scoglio grosso, enorme, che riguarda la Champions League, è rosso e si chiama Bayern Monaco: "C’è una cosa brutta: che poteva capitarci una squadra più debole. E un’altra bella: che tutti si aspettano che perdiamo, come nella semifinale col Real dell’anno scorso. Me lo sentivo che avremmo preso il Bayern: l’avevo detto a Coman... Gli dissi di essere felice. Ero contento per lui, perché andava a giocare, che era quello di cui aveva bisogno. La gente deve sapere che nella Juve non è facile - continua - C’è una cultura del lavoro diversa rispetto all’estero. Io sono stato al Manchester: sembrava di essere in vacanza. Qui si lavora tanto, perché tutti gli scudetti non è che li abbiamo rubati: è il lavoro, fino alla fine. E poi c’era Tevez, c’è Morata: per un attaccante non era facile giocare".