Ha ventitreanni, è già padre, si è trasferito nella megalopoli Parigi dalla circoscritta Pescara tre anni fa, percorrendo un sogno che è iniziato quando già a 15 anni giocava in Lega Pro. Lui, abruzzese doc, di Manoppello, cittadina di appena seimila cittadini: Marco Verratti contro l’Arzebaigian ha dimostrato di poter essere la chiave dell’Italia per i prossimi dieci - o più - anni. Probabilmente siederà solo in panchina stasera contro la Norvegia, ma nell’Italia di Conte c’è spazio per tutti e può capitare che Verratti (magari sotto chiamata di Blanc) ceda il posto a Montolivo in regia. L’abbiamo conosciuto poco noi. Il tempo di ammirarlo a Pescara sotto le ali protettive di Zeman, che il PSG milionario lo ha acquistato insieme ai grandi nomi, ai top players, nella prima vera campagna acquisti del nuovo corso parigino. Chissà che strada avrebbe fatto, Verratti, se fosse rimasto in Italia, dove spazio per i giovani italiani ce ne è solo tra le realtà medio-basse. In Francia non si pongono questi problemi, sono solamente tanto affezionati al Marco italiano che tutta questa popolarità il nostro centrocampista fatica a concepirla, le sue magliette sono le più vendute insieme a quelle di Ibra, “non lo so perché scelgono me. Sono arrivato che ero veramente piccolo, nessuno mi conosceva. E’ come se fossi cresciuto qua , e comunque il calcio che conta l’ho iniziato a giocare qui. Diciamo che mi hanno preso come loro mascotte”.
Marco Verratti è quasi il giocatore italiano con più esperienza internazionale, a parte gli Juventini è l'unico a giocare la Champions League con regolarità; è un dato di fatto che negli ultimi tre anni conta tre quarti di finale di Champions League, due di questi da titolare. Tuttavia, con più di cento presenze col Paris e appena 15 con l’Italia, il suo problema sembrava essere proprio il suo paese natio, nel quale l’amore - a parte a Pescara - non è mai sbocciato del tutto. Forse perché la sua visibilità è rimasta coperta dalle giocate eterne di Andrea Pirlo, forse perché, prima Cesare Prandelli poi Antonio Conte, non l’hanno mai investito a titolare delle proprie selezioni. A vedere bene, infatti, la prima presenza di Verratti in una partita ufficiale con l’Italia, è stata lo scorso anno nel Mondiale in Brasile. Eppure a Parigi è da tre anni che se lo coccolano, da titolare: Ancelotti a Blanc - seppur temporeggiando - gli hanno consegnato il centrocampo delle loro squadre, sempre. Lo sta facendo, pian piano, anche Conte. Nel 4-2-4 in coppia con Parolo, Verratti ha comandato, con personalità, dettando i tempi di gioco, con una visione delle traiettorie alte e basse degne del futuro faro italiano. In quella zona di campo, per tanti anni, abbiamo avuto il regista più forte degli ultimi tempi, un certo Andrea Pirlo. Verratti non è lo stesso tipo di giocatore, in tal senso ha parlato alla rivista Undici sul suo ruolo rispetto a quello dell’ex Juve e Milan, le sue parole sono chiarissime: "Pirlo, anche quando ci gioco vicino, lo vedo molto diverso da me. Anche nei pensieri che ha. Lui può creare un’occasione da gol dal limite della sua area perché ha un lancio fantastico. A lui piace il gioco lungo, perché vede più lungo e con un lancio preciso puoi saltare centrocampo e difesa. Io il gioco lungo lo vedo più dalla metà campo in poi, che magari non è un lancio ma un passaggio un po’ più forte. Prima però cerco sempre di uscire palla al piede o di giocare corto per poi andare sui lati. Pirlo, invece, ha questo passaggio che può già creare superiorità numerica."
Pirlo e Verratti: ora difficile da immaginare compatibili tatticamente, sono pronti a scambiarsi le chiavi del centrocampo italiano. Magari chissà, trovando una soluzione, li vedremo una volta insieme a coordinare gli azzurri. Verratti si è dimostrato pronto proprio a Baku, dove Andrea esordì in Nazionale nel 2002. Il destino dell’Italia ha un nuovo comandante, che come il suo predecessore ha fatto scalo a Baku, Caucaso, Azerbaigian.