Guardare indietro, a volte, è un buon modo per capire cosa si è diventati nel corso del tempo. Spesso, però, questo riporta alla mente ricordi che stridono con il presente, facendo nascere rimpianti e malumori che farebbero meglio a rimanere ignorati il più possibile, rischio gravi bruciori di stomaco che tormentano i tifosi di quella o quell'altra squadra.

A Udine ciò accade se si prova a ripensare a dieci anni fa. Proprio in quell'estate, infatti, l'Udinese era in preda a una frenesia mai vista prima: c'era da preparare il delicato preliminare di Champions League contro i portoghesi dello Sporting Lisbona, che si sarebbe giocato ad agosto. Il primo in assoluto nella storia delle zebrette, che non avevano nemmeno mai sentito l'inno della massima competizione europea nel proprio stadio.

In panchina, dopo una stagione strabiliante guidata da Luciano Spalletti poi trasferitosi alla Roma, adesso sedeva Serse Cosmi. Anche per lui prima esperienza nell'ex Coppa Campioni, ci si poteva affidare solo ai “big” di questa squadretta di provincia, data fin da subito per sconfitta ancora prima di scendere in campo: il trio d'attacco Iaquinta, Di Natale e Di Michele. Sembra un secolo fa, ma all'epoca il futuro centravanti della Juventus indossava la fascia da capitano e segnava con continuità, per la gioia dei tifosi friulani. Appena otto anni prima di tornare a Udine da avversario con il Cesena, per essere fischiato dal suo ex pubblico.

E poi c'era un ragazzo napoletano, già un po' “vecchiotto” con i suoi 27 anni sulle spalle, ma agile e scattante come un diciottenne, arrivato solo un anno prima dall'Empoli su insistenza di Spalletti, che lo aveva allenato in Toscana: Antonio Di Natale. Lontano ancora da quello che sarebbe diventato poi, per l'Udinese e il calcio italiano, Totò era esploso tardi, ma i Pozzo avevano creduto in lui comunque. Non bisogna dirlo che quello fu forse l'investimento più azzeccato nella loro dirigenza, meglio ancora di Alexis Sanchez o Amoroso.

A completare il trio d'attacco c'era Di Michele, laziale arrivato in Friuli nel 2001, poi andato in prestito alla Salernitana tra il 2002 e il 2004, per poi tornare l'estate prima dell'impegno europeo, raggiunto grazie anche alle sue 15 reti in Serie A, messe a segno la stagione precedente.

Ma non solo attacco: in quella rosa c'erano nomi di tutto rispetto, destinati a essere in primo piano nelle trattative di mercato degli anni successivi: De Sanctis tra i pali; Zapata e Felipe in difesa; Sulley Muntari a centrocampo; Simone Pepe in attacco. Ma anche pietre miliari del club bianconero e non solo: Valerio Bertotto, Nestor Sensini e Giampiero Pinzi. Perfino un certo Al-Sa'adi Gheddafi, figlio dell'allora dittatore libico e vero e proprio bidone con un'unica presenza in campionato (durante la quale si infortunò, peraltro).

Quelle due partite estive rimarrano sicuramente nella storia dell'Udinese: 0-1 in trasferta il 10 agosto, 3-2 allo stadio Friuli il 23 agosto accesero i fari sull'inizio del suo cammino nell'Europa che conta. A segno andò Iaquinta per tre volte, una Di Natale, e l'urna di Nyon poi fece il suo: girone tosto con Barcellona, Panathinaikos (contro cui i bianconeri giocheranno stasera in amichevole) e Werder Brema. Ma questa è un'altra storia, nella quale spicca la rete di Felipe nel 4-1 al Camp Nou, l'ultima rete italiana ai blaugrana prima della semifinale di Champions tra loro e l'Inter, nel 2010.

Finiti i ricordi, rimane l'amaro in bocca: nelle ultime due stagioni, il club del Nordest è stata impegnata nella lotta per non retrocedere, mentre appena un'anno prima si giocava (di nuovo) i preliminari di Champions, perdendoli contro lo Sporting Braga. Una serie infinita di giocatori si sono susseguiti, cifre astronomiche hanno ripagato pienamente il loro acquisto da squadre sconosciute, ma il grande colpo non è mai arrivato.

A breve da quello storico traguardo saranno 10 anni esatti, 20 se si considera l'ultima promozione nella massima serie, ma i miglioramenti da “big” non si vedono. Certo, ora i Pozzo hanno ben due squadre satellite, Watford e Granada, in due campionati importanti per far crescere talenti, ma spendono più loro che il club friulano. Auspicare in Colantuono un cambio di rotta è difficile, più probabile che si ripeta ancora a lungo il registro che ben conosciamo: forse le coppe europee torneranno, ma sarà più per la grinta dei giocatori che per un piano reale della società.