Il trionfo bianconero nella notte romana porta la firma meno attesa, quella di chi più di chiunque ha cullato una rivincita contro tutto e tutti, contro chi lo definiva un attaccante sopravvalutato, contro chi lo dava già per bollito a 30 anni, contro chi lo reputava un'inutile scalda panchina, il cocco dell'allenatore e niente più, e contro un destino che sembrava averlo trascinato dentro un limbo di mediocrità: Alessandro Matri.
Matri è il cavallo di ritorno di casa Juve, il bomber del primo scudetto del ciclo avviato con Conte. Uno che, quindi, qualche segno l'aveva già lasciato. Alessandro Matri da Sant'Angelo Lodigiano, comune di poco più di 13.000 anime che ha dato i natali anche alla stella Nba Danilo Gallinari, arriva alla Juve nel gennaio 2011 dal Cagliari, dove diviene, nella stagione successiva, il terminale offensivo della prima Juve targata Conte, in cui, di fianco a Vucinic, realizza 10 reti in quella che è la stagione del primo tricolore, quello del campionato senza sconfitte. E' vero, 10 gol per un attaccante non sono tantissimi, ma Matri segna praticamente solo gol pesanti, decisivi, le sue 10 reti hanno un peso specifico notevole e permetteranno di strappare lo scudetto dalle maglie del Milan di Allegri, l'allenatore che lo aveva lanciato nel grande calcio ai tempi di Cagliari. Matri alla Juve rimane altre due stagioni: i bianconeri completeranno e rinforzeranno il parco attaccanti, ma Matri continuerà a fare quello che sa fare meglio: rendersi utile quando chiamato in causa, accettare silenziosamente la panchina, lavorare e raccogliere i frutti nei minuti in cui viene mandato dentro, perchè per quello è pagato un professionista.
Da lì, però, è l'inizio di un incubo: Allegri, ancora lui, lo rivuole con sè al Milan, e convince Galliani a sborsare 11 milioni tra lo scetticismo dei tifosi rossoneri: 11 milioni per una riserva della Juve? Avranno ragione, purtroppo: Matri rimane in rossonero da agosto a gennaio raccogliendo la miseria di un solo gol, inutile, a Parma. A gennaio il passaggio alla Fiorentina, dove le cose non vanno meglio: una doppietta a Catania e un gol in Europa League al modesto Esbjerg, il bomber lombardo sembra non essere più tale.
All'inizio della stagione in corso i primi segnali di rinascita: un buon bottino di 7 gol in 17 partite al Genoa, e la sensazione che Matri abbia finalmente trovato la sua dimensione. Poi l'infortunio e la sorpresa: la Juve a gennaio libera Giovinco, che emigra in Canada, e lo riporta a Vinovo, in prestito gratuito, tra le mille perplessità dei tifosi bianconeri: caratteristiche completamente diverse da Giovinco, la miseria di 12 gol negli ultimi due anni, un infortunio da cui non è ancora completamente guarito. In pochi capiscono l'utilità di questo innesto, e le malelingue lo descrivono semplicemente come il cocco di Allegri, che lo ha fortemente voluto e che ottiene la possibilità di riaverlo a disposizione, dopo Cagliari e Milan.
La seconda esperienza di Matri in bianconero sembra anonima, finchè non si arriva alla sera del 7 aprile, a Firenze, contro una delle ex di Matri, una di quelle in cui non ha lasciato il segno: la Juve è reduce dall'1-2 interno contro la Fiorentina, sembra fuori dalla Coppa Italia. Allegri, a sorpresa, lancia Matri titolare, e il pupillo del tecnico toscano lo ripaga, mettendo la firma sul primo dei 3 gol che completeranno una clamorosa rimonta. Ieri l'apoteosi: Juve-Lazio è bloccata sull'1-1. La Juve non vince il trofeo dal 1995, e la Lazio si sta dimostrando avversario tosto. All'84' Allegri tenta la mossa Matri: lo manda in campo al posto di uno spento Llorente, e dopo 4 minuti mette dentro un gol annullato per fuorigioco dubbio. Circola qualche sorriso: che colmo se l'avesse decisa davvero lui! E invece a metà del primo supplementare ciò che apparentemente sembrava surreale diventa reale: Matri risolve un' azione convulsa in area, batte Berisha e firma il 2-1 decisivo.
Nella notte in cui tutti attendevano gli eroi Tevez, Pogba, Pirlo o Vidal, il vero eroe è proprio lui: quello che per molti era un reietto, l'umano tra i supereroi, lo scaldapanchine. O forse, più semplicemente, il professionista, l'uomo giusto al momento giusto, quello che si fa il mazzo quando è chiamato in causa e accetta le panchine, quello che segna solo i gol pesanti. E improvvisamente Matri diventa importante, dietro un Llorente ingolfato e un Coman ancora acerbo, è lui l'alternativa a Tevez e Morata. Sognando Berlino e magari una zampata letale, nei minuti finali, come ieri a Roma. Per prendersi una rivincita e per portare, finalmente, la classe operaia in paradiso, di fianco al trono degli eroi, per guardare, almeno per una notte, nella notte delle notti, gli alieni blaugrana dall'alto in basso.