Andrea Agnelli e la Lega, due punti di vista distanti, lontani. Idee diametralmente opposte sul futuro del calcio, da una parte Agnelli, un rivoluzionario, etichetta poco gradita all'interessato, dall'altra il calcio italiano, aggrappato a poltrone e stereotipi. Dalle colonne del settimanale tedesco Die Zeit, il numero uno della Juve lancia l'ennesima bordata ai vertici del pallone, ritenuti inadeguati, non al passo con i tempi. L'occasione per affondare la lama la fornisce ovviamente il caso Parma, una società rifiutata dalla Uefa, per mancati pagamenti e conti non a posto, e regolarmente al via della Serie A, salvo poi crollare lungo il percorso, minata da debiti con ogni probabilità irreparabili.
"Non sono il capo dell’opposizione perché non esiste un governo. Da noi non succede nulla senza l’Assemblea dei Presidenti. La stessa Lega è debole, non ha nessuna autorità, né un proprio management. Questo porta ad una situazione meno trasparente, come ad esempio nel caso dei diritti tv, e a conflitti di interesse. Sicuramente dobbiamo cambiare alcune idee e comportamenti. Con poche eccezioni i presidenti dei club e i principali funzionari hanno 60-70 anni. Ci sono pochi quarantenni. E il caso del Parma è solo la punta dell’iceberg: il fatto che un club possa arrivare fino a questo punto è frutto della cattiva gestione del calcio italiano. Non mi preoccupa quello che l’Italia pensa dell’Italia, mi preoccupa tanto quello che gli altri pensano di noi, con i relativi danni all'immagine dovuta ai vari scandali. Gli stadi vecchi sono una delle cause della crisi del calcio italiano? Ne sono convinto al 100%".
Il modello da seguire è quello inglese, la Premier è l'esempio da cui trarre linfa, spunti "È il compito della nostra generazione non solo lasciare ai nostri figli un altro calcio, migliore e più trasparente, ma anche un altro Paese. Senza dubbio ci sono delle differenze tra me e altri presidenti di club che si occupano del governo della Serie A. E quindi anche le opinioni sono distanti. Secondo me la Serie A in Italia dovrebbe essere gestita come la Premier League in Inghilterra, da persone che portano avanti l’intera Lega come prodotto. Con una strategia per lo sviluppo e l’esportazione del nostro calcio. In James Pallotta, il presidente della Roma, abbiamo trovato un alleato. Investitori stranieri in altri club? Non importa da dove arrivino gli investimenti, ma posso assicurare che la Juve resterà italiana".
Dalla battaglia in Lega si passa poi allo scontro di campo e torna protagonista la Juventus. In programma, la prossima settimana, la trasferta a Dortmund, un passo verso le grandi d'Europa, l'occasione di approdare tra le migliori otto in Champions. Agnelli traccia un bilancio, evidenziando le differenze di ricavi dai top club e le difficoltà a misurarsi con squadre come City e Psg che attuano una politica finanziaria discutibile "In questo momento ci sono quattro squadre che non hanno concorrenti in termini di fatturato: Real Madrid, Manchester United, Bayern Monaco e Barcellona. Sono seguiti da PSG e Manchester City, che però operano un doping finanziario, con i quali non posso concorrere. Se tolgo questi due club dalla classifica la Juventus sale all’ottavo posto. Il mio obiettivo è raggiungere il quinto posto in tre, quattro anni. In Champions con il Dortmund? Siamo la Juventus. Dobbiamo vincere ogni partita".
L'ultimo capitolo è un tuffo nel passato, un ritorno al 2006, al processo di Calciopoli, uno scontro frontale, una guerra di carte che la Juventus non accetta di perdere "Riabilitazione? Non è la parola corretta. Noi abbiamo accettato la sentenza del diritto sportivo, ma ad essa si è giunti molto velocemente, in un mese. Poi sono emerse nuove informazioni che non sono state prese in considerazione. Tre anni fa abbiamo presentato una domanda di risarcimento di 443 milioni perché per due anni non ci siamo qualificati alla Champions League e abbiamo dovuto rinunciare agli introiti conseguenti. Aspettiamo l'udienza".