Ripercorriamo i temi più importanti del nostro campionato, in quest'anno che ci stiamo lasciando alle spalle. Ci soffermeremo esclusivamente sulle notizie, sulle sorpese e sulle delusioni che ci ha regalato il campo. Si è forse parlato sin troppo di proteste, guerriglie, di questioni "extra-calcistiche". Noi diamo la parola al rettangolo verde dalle mille emozioni, al calcio vero, quello che conta.
Una Juventus dominatrice
E' l'immagine che tutti vorrebbero appesa nella sala trofei del proprio centro sportivo, la Juve, che ne aveva già 29 o 31 -fate voi- ne aggiunge un'altra: è il terzo scudetto consecutivo, simbolo di un predominio a strisce bianconere e di record infranti. L'era Conte finisce nel migliore dei modi e l'entrata nel paradiso dei grandi si suggella con un 2014 stellare. "I record non servono se poi a fine stagione non vinci nulla": la saggezza di Conte, in queste parole, esprime tutta la sua pragmaticità calcistica, il suo essere un allenatore esecutivo prima che teorico, vincente senza dubbio. La sua Juve è stata questa, incarnazione calcistica delle sue idee. Ma se si vince entrando nella storia è un'altra cosa e la sua Juve è stata capace di questo. Una Roma partita col botto, incasellando 10 vittorie su 10 nelle prime giornate di campionato, è stata piano piano ridimensionata dalla galoppata incessante delle zebre, per poi essere definitamente surclassata. La coppia Tevez-Llorente, un Pirlo ringiovanito, un Pogba alieno ed il potere delle fasce con Lichstainer ed Asamoah sono stati gli ingredienti perfetti per una ricetta vincente. Record di 15 vittorie consecutive tra le mura amiche, record assoluto di 102 punti in Serie A, record del secondo tris consecutivo di scudetti... un solo rammarico: l'Europa. Ma in Italia non ce ne è stata per nessuno.
Seedorf per Allegri, ma niente Europa
Era arrivato da poco Seedorf, volenteroso di fare bene e di incidere sul Milan più di quanto l'avesse fatto da giocatore. Il suo sguardo perso, malinconico, incredibilmente sconfitto, dopo il match contro il Napoli perso 3-1, è proprio di chi, da solo, ha provato ma non è riuscito. Dopo sedici stagioni, infatti, il Milan manca l'accesso alle competizioni europee. Per un club come quello rossonero, il 2014 è stato un punto nero della sua storia, un fallimento. Il cambio in panchina a Gennaio non ha dato i frutti sperati. Seedorf viene chiamato per dare una rotta ad una barca ormai sulla via del tracollo, tuttavia, rescisso il contratto col Botafogo, l'ex centrocampista milanista non fa altro che agitare il mare e rendere la rotta ancora più tortuosa. Le fallisce tutte, anche se, per quanto riguarda i risultati, farà meglio di Allegri. Esce dalla Coppa Italia a San Siro per mano dell'Udinese. Esce agli ottavi di Champions League contro l'Atletico Madrid. Poi la brutta sconfitta col Napoli e quella col Parma rendono un inferno l'ambiente rossonero. La sconfitta contro l'Atalanta, senza l'accesso in Europa League, è una condanna. Per la società, Clarence Seedorf non ha più il salvagente dei risultati - migliori rispetto all'andata - e viene esonerato. Il suo percorso da allenatore del Milan dura solamente quattro mesi. Verrà chiamato Filippo Inzaghi.
Storico Sassuolo
Non solo le grandi città, le metropoli, sanno emozionare, anzi. Il Sassuolo, piccola realtà ed unica squadra della Serie A 2013/2014 a non essere di un capoluogo di provincia, ha conquistato una salvezza storica al suo primo anno in A e con quasi tutti italiani in rosa. Artefice di questa magia è stato Eusebio Di Francesco, che ha portato il Sassuolo nella massima serie italiana prima, salvandolo poi. Inesperienza ed emozione, alle prime volte, possono giocare brutti scherzi. Infatti il debutto in Serie A dei neroverdi non fu eccezionale: 4 k.o di fila, tra cui spicca lo 0-7 rimediato dall'Inter. Un persorso tutto in salita. Dunque arriva l'esonero di Di Francesco, seguito dal filotto di sconfitte consecutive del subentrante Malesani, allorchè la società decide di richiamare Di Francesco. Il cerchio si chiude trionfalmente: il Sassuolo conquista la salvezza ad una giornata dal termine del campionato, nella vittoria interna per 4-2 contro il Genoa. Partita che rispecchia le caratteristiche del Sassuolo di Di Francesco: bello, offensivo e spregiuticato, perchè si può insegnare calcio anche se ti chiami Sassuolo. La foto mostra i festeggiamenti dopo la partita contro il Genoa, i giocatori andranno sotto la curva a prendersi gli applausi, per quanto il regista di questo stupefacente Sassuolo sia uno solo e chi ci sta dentro lo sa: è Eusebio Di Francesco.
L'esplosione d'Immobile
Con 22 goal è il nostro ex capocannoniere, Ciro Immobile. Pronosticabile? Difficilmente. L'ex Toro ha stupito tutti ed è doveroso menzionarlo. Nato nella Juventus - e fino alla scorsa stagione di proprietà bianconera -, s'illumina a Pescara sotto Zeman, passa un anno nell'ombra con il Genoa, esplode col Torino di Ventura. Ciro, con Cerci, forma una delle coppie goal più prolifiche d'Europa, addirittura con più goal di quella dei campioni d'Italia, Tevez-Llorente. Sembrano fatti l'uno per l'altro. Una miscela perfetta di velocità, forza fisica, intelligenza tattica. Ciro si dimostra un attaccante a tutto tondo, capace di venirsi a prendere la palla giocando spalle alla porta, ma anche di attaccare la profondità magistralmente. Segna di testa, dentro e fuori area, di destro, di sinistro. Abbiamo scoperto un campione, infatti si merita la convocazione della Nazionale in Brasile. Un campione che però non gioca più nel nostro campionato, come se ne fossimo già pieni. La Juve, infatti, preferisce puntare sullo spagnolo Alvaro Morato, piuttosto che sull'italiano Immobile, libero di essere ceduto al Borussia Dortmund. Nel nostro campionato ne possiamo, per ora, solo ricordare le gesta, come questa fissata qui sotto: il goal alla Roma all'Olimpico. Potenza, classe, coordinazione: Ciro Immobile.
Calvario Pepito
E' un'immagine crudele: Giuseppe Rossi che lascia il campo per l'ennesimo infortunio. Rinaudo interviene in maniera sconposta ed il ginocchio, inesorabilmente, cede un'altra volta. Pepito viene accompagnato, a forza, fuori dal campo dallo staff medico della Fiorentina. Pepito è a testa bassa, forse incredulo, sicuramente straziato. Il campo non lo vedrà per altri 4 lunghi mesi. Salterà anche il mondiale. Ma questo maledetto ginocchio si comporta come una classica ferita dei bambini rimediata al parco. Si crea la crosta, ci ricadi, si riapre. Perchè il calvario non è finito, sebbene rientri per pochi minuti nella finale di Coppa Italia contro il Napoli ed il 6 maggio torni al goal contro il Sassuolo. La 'ferita' si riapre in allenamento, nel pieno della preparazione estiva, ed il 5 settembre viene operato di artroscopia al ginocchio destro, negli Stati Uniti. Quest'anno ancora non si è visto, il 2015 speriamo possa essere il suo anno. Forza Pepito.
La metamorfosi del Parma
Chiudevano la scorsa stagione sesti in classifica e prossimi ad un futuro tutto europeo -che solo questioni burocratiche (licenze UEFA) gli avrebbero negato-, chiuderanno il girone d'andata della stagione 2014/15, probabilmente , ultimi in classifica: finora solo 6 punti, 16 goal fatti, 36 subiti, peggior difesa del campionato, crisi totale. E' la metamorfosi del Parma. Metamorfosi in senso negativo, perchè non si è evoluta la squadra emiliana, è regressa clamorosamente. Guardate l'immagine: volti sconvolti, nessuno guarda avanti, tutti in basso, in segno di resa, è l'ennesima sconfitta. Cos'è che manca a questa squadra, perchè un cambiamento così radicale? Non c'è serenità nell'ambiente: risposta tanto banale, quanto veritiera. La mancata Europa league conquistata sul campo, gli stipendi arretrati (e conseguentemente un punto di penalizzazione), una società che c'è o non c'è e, se c'è, non si sa qual'è ed infine gli infortuni, sono tutti fattori determinanti. Quel Parma che si sarebbe meritato l'europa, così forte, così sorprendente, è diventato questo Parma, miserabilmente ultimo in classifica e con lo spettro incombente della Serie B.
Arrivederci Javier
Pacato, professionista, leale, condottiero e chi più ne ha, ne metta. Javier Zanetti, in quasi vent'anni di carriera all'Inter, è diventato un'icona del calcio mondiale, del bel calcio, pulito ed onesto. Si è ritirato uno dei più grandi trascinatori, all'apparenza silenzioso, degli ultimi 20 anni. La partita contro la Lazio, il maggio scorso, ha fatto vibrare i cuori anche ai non interisti, perchè se si è uomini, in certi casi, si va oltre la fede calcistica ed è sotto gli occhi di tutti quanto Javier abbia dato al nostro calcio. L'ultima partita ufficilae la giocherà la settimana successiva contro il Chievo, ma il saluto ai suoi tifosi è il vero addio. All'annuncio delle formazioni 'Javier Zanetti' viene ripetuto 5 volte, in un urlo di San Siro che fa eco in tutto il mondo. La sua entrata in campo è trionfale, emozionante. Poi, alla fine della gara, prende in mano il microfono: "Voglio ringraziare tutti i compagni che in questi anni sono stati accanto a me. Finisce il calciatore, va avanti l'uomo. Finisce una bellissima carriera, difendendo questa maglia che amo veramente e ho cercato di onorare in ogni occasione. Vi amerò per sempre." Lascia così i suoi tifosi l'eterno numero 4 e, come nelle storie più romantiche, si emoziona anche il protagonista. Mano sul cuore, l'altra che saluta. Allora: arrivederci Javier.
Il tenente Garcia
"A Torino ho visto una Roma forte, forse più della Juventus, e ho capito che quest'anno vinceremo lo Scudetto." Rudi Garcia dixit. L'allenatore della Roma, grazie ad ottimi risultati ed uscite scenografiche, è stato spesso al centro delle prime pagine di giornali e delle chiacchiere da bar. Non le manda a dire, come dimostra il virgolettato sopra citato, e questo atteggiamento a Roma, sponda giallorosso, non fa altro che accendere l'entusiasmo. E' un tenente, un motivatore prima che un allenatore, uno che non ci occupa solamente del campo, ma anche delle questioni manageriali, societarie. Tratta in prima persona con i giocatori, mette bocca sulla comunicazione del club (interviste si, interviste no) e sulle tournèe della sua squadra. Un tecnico più all'inglese che all'italiana, per capirci. La sua Roma ha stupito l'anno scorso (ricordiamo che veniva dalla pesantissima sconfitta contro la Lazio in Coppa Italia) e si sta confermando anche quest'anno. Lui, storicamente, nelle sue squadre, fa sempre meglio al secondo anno. L'obbiettivo è sviolinato e dichiarato: lo scudetto.