Partiamo da una considerazione: a casa della Juventus versione schiacciasassi di questo periodo ci stava di perdere. Il risultato finale, seppur rotondo, non è una sorpresa. Tutta l'Italia non bianconera sperava che la Roma uscisse indenne dallo Stadium e tenesse viva la lotta scudetto, ma i fatti hanno dimostrato che Tevez e compagni non hanno rivali nella corsa al tricolore. Si poteva perdere, insomma. Vero, ma non così. Non finendo in 9 uomini, non prendendo dei gol evitabilissimi, addirittura imbarazzanti, non dimostrando ancora una volta che il problema di Roma e della Roma sta nella testa.
GARCIA LO PSICOLOGO - La più grande qualità dimostrata finora dal tecnico francese è stata proprio quella di saper stabilire una forte empatia con lo spogliatoio, tenerlo in mano e infondere coraggio nei giocatori. Il lavoro che lo aspetta ora è il più difficile da quando è arrivato: gestire la prima sconfitta, giunta nella partita più importante della stagione, contro gli storici rivali. Il generale Rudi dovrà prima di tutto ricordare ai suoi uomini che fantastico girone d'andata hanno compiuto e quanto entusiasmo e quanta gioia sono stati in grado di insinuare nei cuori di una tifoseria spenta e diffidente dopo la sconfitta in finale di coppa contro i cugini. Dovrà far sì che ogni singolo calciatore mantenga stima di se stesso, del gruppo e della sua forza. Non sarà un'impresa facile, soprattutto per il modo in cui è arrivata la sconfitta. Nella prima mezz'ora, infatti, la squadra ha imposto il suo calcio, sfiorando addirittura il gol con il pessimo Ljajic, ma è stata punita da un'ingenuità che è costata il vantaggio juventino al 17’. Il 2-0 di inizio ripresa ha poi una sinistra somiglianza con i classici gol che arrivavano puntuali con Zeman e Luis Enrique in panchina: calcio da fermo, marcatura persa senza una spiegazione, palla in rete e sguardi che non si incrociano. La partita è finita nell'istante in cui Bonucci insaccava alle spalle di De Sanctis. Il nervosismo latente era, invece, soltanto all'inizio ed è culminato al minuto 75 nel gesto di De Rossi, autore di una brutta entrata su Chiellini.
DDROSSO - Non una novità. Non è la prima volta che un capitano della Roma sfoga la sua frustrazione, a partita ormai persa, con un brutto fallo o una protesta di troppo. Totti e De Rossi sono soggetti, in campo, a momenti in cui la lucidità viene totalmente meno e il motivo è molto semplice ed è lo specchio di Roma e della Roma. Il troppo amore per quella maglia e per quella gente si trasforma, negli istanti più bui, in rabbia, in eccesso. Purtroppo è un problema a cui non c'è soluzione, poiché la ragione non riesce a sovrastare il sentimento. Prendere o lasciare insomma, Roma è questa e non è un caso se, nella sua storia, ha vinto così poco pur arrivando più volte a un passo dal trionfo. I tifosi lo sanno. Sono consapevoli di essere destinati a soffrire."I più grandi dolori sono quelli di cui noi stessi siamo la causa", diceva Sofocle, e Totti e De Rossi ne sono perfetta dimostrazione. Sognano, come ogni cuore giallorosso, di vincere qualcosa di importante ma, non riuscendoci e sentendosi primi colpevoli, si sfogano così sul campo.
TESTA AL GENOA - Occorre ora focalizzarsi sul vero obiettivo della stagione: finire tra le prime tre. La squadra ne ha tutte le potenzialità, l’importante è che non perda fiducia nei suoi mezzi. Bisogna ripartire dal gioco, dalla cattiveria agonistica e dalla classe, le armi che la Roma di Garcia ha dimostrato più volte di possedere. La marcia deve continuare, il traguardo della champions league è più vivo che mai.