Chiariamolo subito: allo Juventus Stadium non è improvvisamente cambiato il mondo del calcio. Gli applausi incrociati tra le tifoserie di Juventus ed Avellino non sono la svolta tanto attesa. Non si sono risolti i problemi degli stadi italiani, non si è messa una pietra sopra al controverso discorso della discriminazione territoriale, non è magicamente scomparso il tifo "contro". Stasera si sono semplicemente giocate due partite, entrambe già scritte: una sul campo tra la Juventus e l'Avellino, squadre e tifoserie legate da decennale stima e rispetto, ed una sugli spalti. Tra i tifosi biancoverdi e la storia.
I supporters dell'Avellino non hanno tifato contro la Juventus, e già questa di per sé potrebbe essere una notizia. Seppur con un sogno lungo 90 minuti nel cuore, non hanno mai messo in discussione i valori in campo. Eppure se in cinquemila - ed arrotondiamo per difetto - hanno attraversato l'Italia per una partita di Coppa Italia dall'esito scontato, un motivo c'è. Dall'Irpinia non è partita una carovana solo per tifare la propria squadra. I Lupi di Avellino - ma allo Stadium ce n'erano da tutto lo Stivale, ed in tutti i settori - hanno tifato anche e soprattutto per se stessi. Per la propria storia passata e per quella che hanno voglia di ricominciare a vivere, dopo aver annusato l'effluvio del prato giovane ma già vincente dello Juventus Stadium.
Una squadra, l'Avellino, che si è riaffacciata alla serie B quest'anno dopo un decennio di tribolazioni societarie e l'onta del fallimento dell'uesse, l'Unione Sportiva Avellino, datato 2009. Un fallimento che tanti, troppi tifosi ha allontanato dalla nuova società targata Walter Taccone. Il presidente che ha ricominciato a scrivere la storia dei lupi, partendo dall'inferno dei campi chiazzati d'erba incancrenita in serie D.
A Torino la carovana irpina ha portato in trasferta una torcida d'Aglianico e soppressate. Novanta minuti di canti e cori incessanti, che hanno stupito i cronisti Rai Gianni Cerqueti e Mario Somma - che pure al Partenio ai tempi della serie A c'era stato da avversario, prima di vestire la maglia biancoverde nella stagione 1993/94 - ma forse non gli appassionati più "datati". Perché la curva dell'Avellino, assieme ai Lupi, nella massima serie ha lasciato il segno per 10 stagioni. Non poche delle quali vissute sulla cresta dell'onda. Sulle spalle del capitano Lombardi (recentemente scomparso a causa della SLA, ndr), al riparo tra i guanti di Tacconi, cavalcando la follia di Juary e dei suoi samba attorno alla bandierina. Ed ancora esultando per i dribbling di Barbadillo, ruggendo ai tackle duri come macigni di Di Somma e impazzendo per la meteora Dirceu. Mietendo non di rado vittime eccellenti.
Il popolo delle pendici del Partenio è entrato allo Juventus Stadium ed ha respirato un'aria che nei polmoni mancava da troppo tempo. Non quella pura dei prati di Montevergine, ma quella tesa ed inebriante del grande palcoscenico calcistico. Aria di serie A. Il finale del match in campo era già scritto, ma se credete che la gente d'Irpinia sia salita sui pullman alle 6 del mattino per andare a recitare la parte della vittima sacrificale, vi sbagliate di grosso. Se sono bastati 400 secondi alla Juventus per far capire chi comandava sul campo, all'Italia sono stati sufficienti 90 minuti per riscoprire una delle tifoserie più belle e calde della penisola. Uno spicchio di curva che, con i padroni di casa che si avviavano verso il 3-0 definitivo, ha alzato al cielo le sciarpe biancoverdi all'unisono, e ha convinto persino le telecamere a distogliere l'attenzione del campo di gioco. Uuuuuh.
Un ululato buono. E su cinquemila paia di braccia, cinquemila sciarpe, cinquemila sogni. Uuuuuh. E tutti giù assieme. Ancora, ed ancora. Un marchio di fabbrica della curva dai tempi della serie A, una frustata di lana e dita che schiaffeggia i cieli sulle teste dei ventidue in campo. "Chissà quanto ci avranno messo a preparare tutto", ha sorriso Somma in telecronaca. Poco, caro Massimo. Giusto il tempo di un uuuuuh. Ma i tifosi dell'Avellino, quelli senza uesse o aesse, questo momento lo hanno aspettato per 25 anni. Ed ora che è arrivato, se lo sono goduto per tutti e novanta i minuti. Con orgoglio.
Nel 1980/1981 l'avventura in serie A dell'Avellino, iniziata solo tre stagioni prima, sembrava dover volgere al termine per due motivi. In primis una penalizzazione di 5 punti a causa del calcio scommesse. Poi per il tremendo terremoto del 23 novembre 1980, che mise in ginocchio tutta l'Irpinia. Uno dei testimoni della tragedia, il difensore Salvatore Di Somma, ricordò così l'atmosfera di quei giorni, tra il commosso e l'incredulo:
C'erano delle situazioni drammatiche, morti a terra, gente che tirava i propri parenti dalle macerie. C'è una cosa che però non dimenticherò mai. Una signora, a piazza Libertà, mentre piangeva i suoi cari mi disse: "Salvatore, hai visto che è successo? Però oggi che bella vittoria abbiamo fatto..."
Un applauso ai tifosi dell'Avellino, che allo Juventus Stadium hanno portato tutto il loro calore #FinoAllaFine! #JuveAvellino
— JuventusFC (@juventusfc) 18 Dicembre 2013
Spettacolo sugli spalti: sciarpata tifosi Avellino e applausi dei tifosi bianconeri
— massimo pavan (@pavanmassimo) 18 Dicembre 2013
Sciarpata del settore ospiti. Lezione di calcio e sportivita'. Oggi ha vinto il calcio. Grazie Avellino. Grazie Juve. pic.twitter.com/oxqDALmBji
— Luca Scarinzi (@ScamyTweet) 18 Dicembre 2013