Uno scugnizzo. Una faccia da bischero, con quella pettinatura un po' così. Un piccoletto insomma, uno che a Napoli ricorda il dio del calcio. Se giochi al San Paolo e sei baciato dal talento, il paragone è scontato. Diego Maradona è santo e patrono della Napoli calcistica. Più di San Gennaro può far Diego. E allora ieri sera al minuto 67, quando di fronte ai vice-campioni d'Europa, Lorenzo il Magnifico ha pennellato quella traiettoria perfetta, quando quel dolce pallone ha baciato la traversa, prima di depositarsi alle spalle di Weidenfeller, la Napoli calcistica è tornata a sognare. É il vento della gioventù, il vento del cambiamento, sospinto dalle urla dei 65.000 del San Paolo che fanno accapponare la pelle scandendo la musichetta della Champions. Notti magiche, notti da atmosfera mondiale. Benitez è tecnico preparato, anche nella parentesi nerazzurra, avara di successi, ha lanciato Coutinho e puntato senza paura sui giovani. Nel calcio ci vuole coraggio. In Italia è più difficile. Pronti con la spada di Damocle sulla testa dello spagnolo all'annuncio delle formazioni ufficiali. Chissà quante critiche per quel Pandev in panchina, in caso di sconfitta. E invece vince Rafa, con Insigne.
Soffia forte l'aria del rinnovamento. Se anche uno come Mazzarri, nel primo incontro chiave della stagione si affida a Taider, 21 anni, appena approdato a Milano, e lancia nella mischia Icardi, classe '93, per provare a vincere il derby d'Italia. La meglio gioventù nerazzurra, guidata da Kovacic. Anche Moratti ha capito, costretto dai tempi, che se sei bravo non conta la carta d'identità. Meriti una chance. E inizialmente dubbioso, è ora affascinato.
Fiorentina e Roma lo avevano già intuito lo scorso anno. Gioventù fa rima con entusiasmo. Marquinhos e Lamela, ora approdati a suon di milioni a Parigi e Londra, hanno illuminato la Roma zemaniana, Florenzi è la riscoperta della creatura di Garcia. Montella e Della Valle hanno riportato il grande calcio a Firenze. E per un Ljajic che se ne va polemico, proprio nella Capitale, tanti talentini continuano ad approdare al Franchi da tutta Europa.
Controcorrente procede il Milan di Allegri. El Shaarawy siede in panchina, ora in infermeria. Lo scoppiettante inizio dell'anno passato sembrava aver consegnato nelle mani del soldato Max una gemma preziosa, ormai solo da sgrezzare. Invece il lento ritorno nel guscio protettivo. La paura e le incertezze del non sentirsi più intoccabile. L'ingombrante arrivo di super Mario e la descensio del faraone. Ora Matri, il vecchio amore Kakà e il cambio di modulo. Non per Stephan, che continua a interrogarsi e chiedersi perché. Come i rossoneri, la Juve. Conte ha costruito una macchina fondata su guerrieri pronti, ha preteso Tevez e eletto Vidal a simbolo dello juventinismo. Personificazione, in campo, del tecnico in panchina. Gente esperta, pronta per qualsiasi partita. Quando vinci e devi fare un ulteriore salto di qualità, non puoi concederti rischi eccessivi. Perfino un Nazionale come Llorente resta per ora al palo. Eppure a trascinare quella maglia zebrata non è il principino cresciuto a Torino, Marchisio, non sono gli eterni Pirlo e Buffon, ma un ragazzotto, scovato nei “sobborghi” di Manchester. Strappato a parametro zero a Sir Alex in persona. La Juve adesso è soprattutto Pogba. Francese, nato a Lagny sur Marne il 15 marzo 1993.
Qualcosa sta cambiando. Per necessità, per idee, per intelligenza. Qualunque sia il motivo ben venga. Forse a breve non sarà necessario rimpiangere quel Verratti che cuce e scuce al Parco dei Principi, quel Quintero emigrato al Porto o quel Weiss, che per spiccioli, mette a sedere Marquinhos e T.Silva.