Nel calcio contano i risultati. Così dicono i santoni dei post-partita, gli addetti ai lavori che ostentano aria da sapienti. Vero, contano, ma ci sono dinamiche per certi versi inspiegabili. Prendi Milan e Inter, guardi la classifica, il futuro, il progetto e pensi – eh che confusione Strama, così rischi, guarda Max che crescendo, che gioco, che idee, che giovani! - poi leggi, ascolti e rifletti perplesso. Stramaccioni solido sulla panchina nerazzurra, anche per il prossimo anno, Allegri in procinto di lasciare Milano, direzione incerta, forse Roma, con talenti da valorizzare e una dirigenza favorevole.
Ma partiamo dall'inizio. Il soldato Allegri cresce a Cagliari, convince Cellino, che nonostante cinque sconfitte consecutive, lo tiene saldamente ancorato alla panchina sarda, abbagliato dalle qualità del giovane allenatore. La squadra cresce, vince e convince, diventando realtà luminosa della nostra Serie A. Arriva la chiamata del Milan. Non si può dir di no. Scudetto, subito. L'anno dopo conferma e secondo posto. Maledendo sfortuna e errori arbitrali. Muntari, non serve aggiungere altro (moviola e polemiche non sono ancora sopite) e Thiago Silva. Sì, perché con il fuoriclasse brasiliano, che di recente ha lanciato messaggi d'amore ai rossoneri da Parigi, sarebbe stata altra storia. E quest'anno? Un prodigio. Via i big in estate, in nome del rilancio economico. Nasce il Milan verde. Per dominare in Italia presto e in Europa tra qualche anno. Thiago e Ibra abbracciano sceicchi milionari, i grandi del passato si fanno da parte. Con un prototipo di team ancora in divenire Allegri fatica, combina poco nelle otto giornate inaugurali, poi trova il bandolo della matassa. Lancia De Sciglio, potenziale campione, affida le chiavi della manovra al maturo Montolivo, si gode l'esplosione di El Shaarawy. Niang comincia a essere ricordato per i numeri e non per i problemi con la giustizia. Collezione di punti e vittorie. Si arriva in zona Champions. Poi arriva super Mario, stanco del City e della fredda Inghilterra e diventa addirittura probabile il secondo posto. In quest'ultimo periodo un leggero calo, che non intacca per nulla il capolavoro del soldato Allegri. Il terzo posto, che significa preliminare di Coppa, quella più prestigiosa, è ancora lì, col Milan un punto sopra alla Fiorentina. Anche nell'ultima apparizione, a San Siro col Catania, gol e bel calcio. Ma allora cosa c'è che non funziona? C'è che chi comanda non ama Max. Silvio, il padrone, vuol cambiare. Galliani, che prima difendeva a spada tratta il mister, ora tace. Cosa si possa chiedere di più a una compagine che in difesa si affida a Mexes, Zapata e Yepes, quando una volta imperavano Nesta e Thiago Silva, appare francamente incomprensibile. E allora al grido “il Milan ai milanisti”, sale la candidatura di Seedorf, non tramonta quella di Van Basten, vien vagliata quella di Donadoni. E chi più ne ha, più ne metta. Con buona pace del soldato Max e dei tifosi che hanno chiesto più rispetto per il loro condottiero.
E Stramaccioni? Giunge all'Inter, dall'Inter. Con la Primavera conquista la Next Generation Series, poi viene catapultato in prima squadra, per concludere una stagione travagliata. Inanella successi, conquista il derby, si fa amare dai suoi e dall'ambiente. Ricorda Mou, per passione e voglia. Inizia il nuovo anno alla ricerca di un'identità di squadra. Prova con il 4-3-3, lasciando a Sneijder il compito di creare. Ma soffre. Perde male in casa con Roma e Siena. A Verona, il folletto olandese si infortuna e allora Strama cambia. Difesa a 3 guidata dal muro Samuel, centrocampo di contenimento e tridente pesante. Cassano-Palacio-Milito. Ci si difende e si da la palla a loro. Qualcosa creeranno sempre. Non un gran sistema, ma funziona. Perché la classe aiuta, spesso. Vince, praticamente ovunque. Sbanca anche lo Juventus Stadium. Arriva a meno uno dalla vetta. La Milano nerazzurra sogna e acclama il nuovo profeta. Ma i castelli di carta tendono a crollare. Proprio perché costruiti su fondamenta effimere. Gli infortuni in serie privano l'Inter dei suoi tasselli, prima Milito, poi Samuel. Infine Cassano e Palacio. Il gioco-non gioco non basta più. I terminali cambiano e cambiano i risultati. Sconfitte, caduta libera, delusione. Fuori dalla Champions, dall'Europa League, dalla coppa Italia. Ma Stramaccioni resta. Moratti, probabilmente con ragione, non vede in lui la causa maggiore degli insuccessi di quest'anno. Medici, uomini di mercato. Certamente i colpevoli non mancano. E allora si prova a costruire il domani. Si parte da Kovacic, poi Icardi. Giovani pronti, per Strama e con Strama. Per il prossimo derby, forse non contro Allegri. Il calcio è strano.