In periodi di mercato ricchi come questo, soprattutto parlando di Premier League, delle volte bastano poche, pochissime operazioni, per rivoltare come un calzino una squadra. È, grossomodo, quello che è successo all’Arsenal, che in una stagione in cui le prestazioni ed i risultati vanno e vengono, sembra aver risolto nel miglior modo possibile la spinosissima situazione contrattuale delle sue stelle.

Alexis Sanchez e Mesut Ozil, infatti, da tempo avevano annunciato di voler sondare il mercato a fine stagione, portando il loro contratto alla scadenza di Giugno 2018, lasciando così all’Arsenal un pugno di mosche ed un gran vuoto in attacco. Quello che era l’incubo di tutti i tifosi Gunners si è materializzato (con il trasferimento del Nino Maravilla, Sanchez, al Manchester United), ma a tinte molto più tenui: battuta la concorrenza del City, infatti, i Red Devils hanno messo sul piatto anche Henrikh Mkhitaryan, come contropartita “di cortesia” (e che cortesia…) per Wenger. Questo, insieme ad altre operazioni (Walcott all’Everton, Coquelin al Valencia, Giroud al Chelsea e non solo), è stato uno dei tasselli che ha permesso al manager alsaziano di portare a termine due colpi importanti: da un lato il rinnovo faraonico di Ozil, probabilmente agevolato dalla carenza di proposte alternative ricevute dal tedesco, fresco fresco di ufficialità; dall’altro, l’acquisto dal Borussia Dortmund per una cifra vicina a 60 sonanti milioni di sterline di Pierre-Emerick Aubameyang.

Entrambi i nuovi acquisti di spessore sono stati presentati dall’Arsenal, sui suoi social, con campagne a dir poco altisonanti e sfarzose, forse parte del piano per risollevare il morale dei tifosi dopo un pesante addio come quello di Sanchez. Ma, se a guardare Mkhitaryan (brevilineo, estremamente tecnico, amante del dribbling nello stretto, del palleggio e dell’assist), viene naturale pensarlo ben inserito nell’undici dei Gunners, magari proprio a duettare con Ozil, qualche ragionamento in più va fatto per Aubameyang.

 

La carriera del gabonese inizia in Francia, nelle giovanili di Rouen e Bastia, tra il 2005 ed il gennaio 2007, quando piomba su di lui il Milan, che lo porta in Italia (probabilmente qualcuno di voi lo ricorderà in rossonero) aggregandolo alla primavera. L’esordio in prima squadra, però, non arriverà mai: inizia la girandola di prestiti oltralpe. Dijon, Lille, persino il Monaco, fino al Saint-Etienne, che dopo un anno di prova deciderà di esercitare il diritto di riscatto di poco più di un milione di euro per portarlo ufficialmente in rosa ad inizio 2012. Da lì, l’ascesa: in maglia verde Aubameyang diventa un giocatore fatto e finito, lentamente accentra la sua posizione da esterno a prima punta, trovando 41 reti in 97 presenze. Score che gli vale l’interesse del Borussia Dortmund: 13 milioni bastano per portarlo in Germania, dove in quattro stagioni e mezza l’africano strega letteralmente tifosi ed addetti ai lavori. 141 reti in 213 partite, un fisico cresciuto esponenzialmente al servizio di esplosività e tecnica. Il palmarés personale si arricchisce di due Supercoppe di Germania, una Coppa Nazionale, un premio di calciatore africano dell’anno ed un titolo di capocannoniere dell’ultima stagione di Bundesliga. Negli ultimi mesi, in corrispondenza con la crisi dei giallo-neri, non sono però mancate le critiche, soprattutto dalla stampa, che accusava Aubameyang di non avere ancora la maturità per trascinare la squadra, mentalmente prima che sul campo, nei momenti difficili.

Approdato a Londra, Pierre-Emerick prenderà la pesante eredità del suo predecessore, Sanchez, sia in termini realizzativi che -probabilmente- di leadership. Lui ha dimostrato di non temere la pressione, aggiungendo all’hype uno dei trasferimenti più onerosi della storia della Premier la scelta della maglia numero 14, nel nord di Londra ancora e per sempre legata alle magie di Thierry Henry. Ma il ventottenne figlio di madre spagnola e padre gabonese riuscirà a ripetere la splendida carriera di Titì in Inghilterra?

 

Il primo, grande dubbio riguarda la sua posizione in campo: come detto, da anni oramai Aubameyang ha fatto di sé stesso una prima punta devastante per capacità di attaccare la profondità, dribbling e freddezza. Wenger, però, ha già investito tantissimo su quel ruolo, comprando durante la scorsa sessione di mercato Alexandre Lacazette dal Lione. Il francese è un giocatore simile, ma che fornisce più garanzie in termini di tenuta fisica e capacità di “lottare”, di riciclare palloni sporchi e soprattutto di posizionarsi spalle alla porta per essere usato come perno dalle mille triangolazioni che l’Arsenal ama mettere in pratica in fase di possesso attorno all’area avversaria, soprattutto con il 3-4-2-1. Togliere Lacazette da lì vorrebbe dire lasciare la manovra senza riferimenti veri e propri: Aubameyang è bravissimo ad attaccare nello spazio, o ad andare incontro al portatore di palla per liberare corridoi ai centrocampisti, ma i Gunners non usano praticamente mai la ripartenza veloce, preferendo risalire il campo con il possesso palla, e non avrebbero nemmeno incursori in grado di rendersi pericolosi. L’unico a sposarsi con la descrizione è Aaron Ramsey, mentre attorno a lui Granit Xhaka viene usato come vero e proprio frangiflutti, i due esterni giocano quasi sulla linea del fallo laterale per garantire la massima ampiezza alla manovra, ed i trequartisti (verosimilmente Ozil e Mkhitaryan) amano ricevere la palla sui piedi più che in corsa arrivando dentro l’area di rigore. Per cui, schierare l’ex-Borussia da centravanti rischierebbe di destabilizzare ancora di più il già delicato equilibrio offensivo dei ragazzi di Wenger. Questo non esclude che il tecnico alsaziano possa prendersi il rischio, magari aumentando la verticalità del suo gioco, troppo spesso stagnante sotto forma di possesso palla sterile. Qualche lancio lungo ad innescare le gambe da centometrista di Aubameyang, magari supportato dalle corse di Kolasinac e Bellerìn, potrebbe rappresentare un nuovo approccio per le gare più bloccate. Un’altra strada percorribile, comunque, è il cambio di modulo: più di una volta in stagione Wenger ha ripreso dalla cantina il vecchio 4-2-3-1: certo, le garanzie difensive verrebbero a diminuire, ma anche con i tre dietro i Gunners non hanno dimostrato sicuramente di essere un fortino. A questo punto, ad essere sacrificato sarebbe Sead Kolasinac, che Wenger non vede bene da quarto di difesa (ruolo che spetta quasi sempre a Monreal), in cambio di uno slot in più sulla trequarti: il progetto permetterebbe di mettere Ozil al centro della manovra, con Aubameyang e Mkhitaryan sugli esterni e Lacazette punta di diamante. Certo, un undici-tipo del genere sarebbe piuttosto sbilanciato offensivamente, dato che bisognerebbe chiedere proprio ai due neo-acquisti del mercato di gennaio (non esattamente i primi a sputare sangue in fase di ripiegamento) uno sforzo-extra per non lasciare soli i due terzini. In fase di possesso, però, questa formazione potrebbe riuscire a garantire il massimo rendimento dei singoli: Lacazette sarebbe molto meno isolato, Ozil potrebbe trovarsi sempre nella zona nevralgica del gioco, evitando rincorse e quel posizionamento da mezz’ala che non ha mai digerito. Mkhitaryan, nel ruolo che ha ricoperto durante tutta la sua esperienza allo United, potrebbe posizionarsi largo e rientrare verso il centro con il suo dribbling letale, tanto sul mancino quanto sul destro. Aubameyang, oltre a svolgere un lavoro simile, avrebbe tempo e spazio per tuffarsi sulle seconde palle e le sponde della punta, per attaccare palla al piede o per sfruttare il cambio di passo a spezzare le linee. Quello che preoccupa, però, è allontanare un giocatore da 31 gol nella scorsa stagione dal suo terreno di caccia naturale, l’area di rigore, rischiando, metaforicamente, di spostare un cervo dai boschi all’autostrada. Sicuramente la sua stazza lo aiuterebbe anche nei contrasti a metà campo, ma la tendenza a portare troppo palla alla lunga dovrà essere limata per evitare sanguinose palle perse.

Fonte immagine: Twitter @C11davison

Insomma, quello di Pierre-Emerick Aubameyang è un rebus tattico ma non solo: a Dortmund tante volte l’ex-Milan si è reso protagonista di episodi discutibili, tra “mal di pancia”, allenamenti saltati, riunioni tecniche disertate e chi più ne ha più ne metta. Sicuramente, in un clima torbido come quello degli ultimi a anni all’Emirates (con la maggior parte dei tifosi in aperta contestazione con Wenger e la proprietà, oltre alla carenza di risultati tangibili, soprattutto in Premier) tali colpi di testa, al pari delle distrazioni o dei momenti di blackout in campo, potrebbero essere mal tollerati.

Un banco di prova pesante, un nuovo gruppo di compagni, uno stadio prestigiosissimo, il campionato più famoso del mondo, un’acquisto-record, una maglia leggendaria, una posizione tattica ancora non perfettamente definita. La nuova avventura di Aubameyang ha tutti gli ingredienti che servono per trasformarsi in un cocktail esplosivo: con il destino nelle sue mani, solo il gabonese potrà consacrarsi definitivamente o vedere la propria carriera sgretolarsi sotto le mani.