"Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Sono molto deluso da questo atteggiamento. Vi posso assicurare che è molto, molto più importante di quello". Parole e musica di Bill Shankly, ex allenatore del Liverpool, che forse qualche viaggio in Sud America lo ha fatto prima di pronunciare questa frase e forse questa notte una lacrima sarà uscita anche dal suo volto vedendo Lanus-River Plate, semifinale di ritorno della Copa Libertadores. Una partita che di logico non ha avuto nulla, una sfida che ha rappresentato a pieno l'Argentina e il Sud America calcistico. A quelle latitudini il calcio non è questione di vita o di morte, è molto di più.

Una rimonta epica quella dei padroni di casa che, dopo l'1-0 subito all'andata, vincono 4-2 e volano incredibilmente in finale di Copa Libertadores contro una tra Gremio e Barcellona SC con i brasiliani nettamente favoriti sugli ecuadoriani dopo il 3-0 dell'andata. Una partita, come dicevamo, che di logico non ha avuto nulla perché, dopo gli iniziali e classici fuori d'artificio, il Lanus si spegne in ventitre minuti per mano di Scocco e di Montiel. I Millonarios sono avanti di due gol dopo il primo quarto di match e la finale sembra davvero a un passo perché ai padroni di casa servirebbero quattro reti per ribaltare il risultato. 

In Sud America quando non arriva la logica subentra l'epica e, al termine della battaglia del primo tempo (cinque ammoniti in un quarto d'ora) arriva l'acuto di Sand, attaccante che non ha mai convinto il River Plate a partire dalle giovanili. Il gol è un'iniezione di fiducia pazzesca per la squadra e per il pubblico del Nestor Diaz Perez e infatti, dopo pochi secondo dall'inizio del secondo tempo, Sand fa doppietta, riporta il pallone a centrocampo, con il risultato in parità nel giro di un minuto tra primo e secondo tempo. Si gioca sui ritmi dell'epica, lo stadio riprende vigore all'improvviso, ma servono ancora due gol per rendere possibile l'impossibile. 

Basta aspettare e tutto si trasforma in realtà. Siamo al 62', Sand lotta in area contro due difensori del River e mette dentro dove Acosta, spuntato dal nulla, la mette dentro in scivolata. È 3-2 e il sogno è a un passo. Non c'è tempo per esultare, non c'è tempo per pregare che quattro minuti dopo c'è un episodio dubbio in area, l'arbitro lascia proseguire, ma poi chiede l'aiuto del VAR (si, c'è anche qui). Sono secondi interminabili, quel canto festoso diventa silenzio e adesso si che si può pregare e sperare. C'è l'attesa e c'è il responso: è calcio di rigore. Adesso, però, bisogna andarlo a tirare e il pallone pesa più di una tonnellata. Si presenta dal dischetto Silva. Il Lanus ha creduto poco in lui, mandandolo due volte in prestito, ma da un anno a questa parte è diventato un punto fondamentale della squadra.

Guarda occhi negli occhi German Dario che si muove prima e spiana la strana a Silva che non sbaglia: è 4-2, l'apoteosi. I giocatori del River si guardano sbigottiti, non sanno quello che sta succedendo da ventitre minuti e non sanno come sia successo tutto ciò. I venti minuti finali sono da libro Cuore, i giocatori del Lanus arroccati dietro, il pubblico che tifa ad intermittenza perché sa che in gioco c'è più di una partita, c'è un trofeo che vale molto più di una coppa. La squadra di Gallardo si riversa in avanti fino al 95', ma i padroni di casa resistono e il fischio finale suona come un urlo liberatorio tenuto in gola per 112 anni, un'eternità.

Le telecamere cercano l'allenatore, i giocatori, ma la scene più belle si ammirano sugli spalti: ci sono lacrime di gioia ovunque, abbracci continui tra chi nemmeno si conosce, pianti di tutte le età, di chi ha vissuto tanto e di chi deve ancora vivere. È qualcosa che non si può spiegare con la razionalità perché in Argentina non c'è nulla che si possa spiegare con la razionalità. Il calcio fa da capostipite di questa categoria di cose illogiche, è la religione che unisce tutti i popoli e tutte le genti. Il River va a casa, il Lanus è in finale e il calcio non è solo un gioco.