Contro tutto e tutti. Non può che iniziare così la stagione di chi porta sulle proprie spalle il peso del titolo di campione d'Inghilterra, e questo è il motivo per cui è dai tempi dell'alieno sir Alex Ferguson che qualche squadra non porta a casa per due volte consecutive il titolo di vincitore della Premier League. Ma, almeno personalmente, non si erano mai viste premesse negative come quelle del nuovo Chelsea di quest'anno. Il mercato estivo - iniziato con il leader tecnico dell'11 titolare Eden Hazard ai box per un grave infortunio - ha portato tanti grandi colpi quanto grandi addii e, soprattutto, grandi "no": da Danilo a Belotti, passando per Alex Sandro e Lukaku, in tanti hanno rifiutato le proposte di aggregarsi ai Blues; questo aveva turbato il tecnico Antonio Conte (leggittimamente preoccupato della scarsa lunghezza della rosa a disposizione) e insieme a lui la squadra, portandola prima ad un'accettabile sconfitta ai rigori nel Community Shield, ma poi alla tremenda debacle interna contro il Burnley.
Con queste premesse, il 20 agosto i londinesi erano già chiamati ad uno snodo importante, a Wembley, contro il Tottenham. Un derby fra la prima e la seconda classificata della stagione precedente sarebbe una gara che chiunque vorrebbe affrontare, perlomeno ad inizio stagione, a pieno organico. E invece la lista indisponibili, oltre al fuoriclasse belga di cui sopra, segnava anche un altro paio di nomi interessanti, come Gary Cahill o Cesc Fabregas. Nonostante tutto questo, gli ospiti hanno vinto per 1-2, dandoci diversi spunti di riflessione.
Partiamo dalle cose un po' più banali. Dal punto di vista tattico, checché se ne possa pensare o dire (Oltremanica hanno già urlato più volte al "catenaccio"), Conte ha proposto un capolavoro. L'avanzamento di David Luiz nel ruolo di mediano, con Christensen a prendere il posto di Pedro nella formazione con conseguente passaggio al 3-5-2, è stata un'intuizione brillante. Il brasiliano ha avuto un supporto nella costruzione della manovra sia tecnico, offertogli dal difensore danese, sia fisico, garantitogli dalla presenza contemporanea in campo di Bakayoko e Kanté nello stesso reparto. In avanti, al contempo, l'accentramento di Willian ha reso l'ex Shakhtar più partecipe al gioco, con la gentile collaborazione di Àlvaro Morata, finalmente schierato titolare. Chi ha giovato però più di chiunque altro da questo sistema è certamente Marcos Alonso, che slegato da alcuni compiti difensivi (Moses ha spinto meno) è riuscito a realizzare la splendida doppietta decisiva. Un quadro organizzatissimo e praticamente insuperabile: aldilà delle occasioni fallite dagli Spurs, l'unico gol subito è stato realizzato nel bersaglio sbagliato da Michy Batshuayi.
A proposito del belga, iniziano a diventare spontanei i dubbi sul suo effettivo valore. Non sono gli autogol il problema: è un giocatore le cui qualità sono indubbie, ma risiedono tutte nell'ambito della sua tecnica e del suo fisico, in particolare nell'ambito realizzativo. Dal punto di vista tattico invece, il numero 23 degli inglesi appare ancora estremamente acerbo e questo, a quasi 24 anni, sta iniziando a diventare un problema serio; anche l'impegno che si vede in campo non è mai stato massimale. Il grande salto è arrivato troppo presto? Probabilmente no: è giusto ricordare che il gol decisivo per la vittoria del titolo lo ha fatto lui. Ma adesso è chiamato ad un salto più importante, ora che la presenza della Champions League nei programmi obbligherà il suo allenatore ad impiegarlo di più rispetto all'anno scorso.
L'ex Marsiglia rappresenta comunque un unicum, una nota stonata al confronto del resto del gruppo, sotto questi aspetti sicuramente impeccabile. La reazione d'orgoglio alle critiche ed ai problemi c'è stata: adesso, i crucci dei Blues (sul campo e non) restano, ma verranno affrontati con molta più fiducia. La vittoria di due giorni fa va oltre i 3 punti, perchè manda un messaggio chiaro a tutti: il Chelsea c'è, il suo gruppo è davvero unito ed adesso, nuovamente insieme, è pronto ad affrontare al meglio la nuova stagione.