Il Manchester City è di comune accordo una delle massime pretendenti al successo finale della prossima Premier League. Come da qualche anno, del resto, grazie alla svolta da quel lontano settembre del 2008, quando Khaaldoon Al Mubarak puntò il proprio dito dorato verso Manchester celeste. La penetrazione dello sceicco arabo e delle sue risorse pecuniarie nel contesto City, hanno di fatto elevato quella che per tutti era da sempre la “seconda squadra di Manchester”, a gigantesca potenza da temere.
A dire il vero la costruzione di questo colosso calcistico era cominciata bene, con l’ottenimento di 2 titoli nazionali in 3 anni, dal 2011 al 2014, il primo - già passato alla storia come il torneo più avvincente della storia inglese - sotto la guida di Roberto Mancini, l’ultimo assieme al cileno ingegner Pellegrini, che visse poi altri due anni turbolenti con il Manchester City, lasciandosi infine in malomodo con l’Inghilterra. L’ingegnere visse altri due anni piuttosto turbolenti con i citizens, che vinsero con lui anche una League Cup contro il Liverpool di Klopp ai rigori nell’arco 2015/16, ma i ripetuti insuccessi in campionato indispettirono la dirigenza a tal punto da stipulare un accordo con Pep Guardiola mentre Pellegrini ancora sedeva sulla sedia da allenatore, consumando i suoi ultimi mesi inglesi da separato in casa.
(NON È) BUONA LA PRIMA
Guardiola sbarca a Manchester con un’etichetta appiccicata in fronte: quella di uno che ovunque andasse, otteneva solo successi. Un vincente. Ma anche uno tra i più vincenti, creativi, innovativi e rivoluzionari coach calcistici del nuovi millennio, ha dovuto ricevere il conto dalla Premier League: l’acclimatazione al calcio inglese è stata fatale per il modello guardiolista, che prevede di impiantare un’idea di calcio di possesso ed estremamente dinamico, in un ambiente che privilegia storicamente l’agonismo ed il temperamento, più che la tecnica e la qualità. Sono costate non poco le scelte di giocare con il falso 9, di schierare i falsi terzini, di giocare con una squadra che troppo sbadatamente si riversava nella metà campo offensiva soffrendo poi transizioni fatali, anche da squadre di basso rango.
Nell’ultima stagione è mancato sostanzialmente l’equilibrio, sia in termini di rendimento in campo che di risultati, perché nessuno si sarebbe immaginato un Manchester City chiudere terzo in Premier a 15 punti dal Chelsea vincitore, dopo le prime 10 gare ufficiali vinte consecutivamente. Guardiola ha più volte ascritto la responsabilità di questa mancata continuità della sua squadra alla congestione del calcio inglese, che sfibrerebbe eccessivamente - a suo modo di vedere - i calciatori a punto tale da impedirne l’ottimale rendimento all’interno dell’annata. 56 partite tra coppe varie, campionato, e Champions League, che ha rappresentato più fedelmente rispetto ad ogni altra competizione quell’incapacità di controllare le situazioni all’interno di un contesto. Dopo il passaggio del turno ai gironi, ed un rocambolesco 5-3 casalingo contro il Monaco, la squadra di Guardiola è infatti capitolata per 3-1 nei minuti finali in quel del principato, gettando al vento un quarto di finale che sembrava stretto in pugno.
SEMPRE PRIMI SUL MERCATO
Ma anche se il Manchester City viene da un triennio di flesso, di certo può consolarsi con il titolo di campione di follie mercantili estive, le quali contribuirono in prima battuta (a suo tempo, insieme al PSG) alla sublimazione di ogni criterio per determinare il valore degli oggetti in vetrina... semplicemente presentandosi al club venditore con cifre irragionevoli e - fino a qualche tempo fa - irraggiungibili per la concorrenza. Oramai i fatturati delle società calcistiche si ampliano di anno in anno, e con loro lievitano anche i prezzi dei cartellini, per una banale legge inflazionistica. Quindi, oggigiorno, non c’è da spaventarsi nel leggere le cifre che descrivono la campagna acquisti del Manchester City, che ha speso (finora) ben 240,5 milioni di Euro per 6 giocatori, utili soprattutto per rinforzare il reparto arretrato. Tre sono terzini, vale a dire Benjamin Mendy dal Monaco (57,5 M), Kyle Walker dal Tottenham (51 M), e Danilo dal Real Madrid (30 M); il giovane portiere proveniente dal Benfica Ederson (40 M) a completare il discorso difesa, e per il centrocampo Bernardo Silva (dal Monaco per 50 M), e il brasiliano Douglas Luiz (dal Vasco da Gara per 12 M).
Questi investimenti puntati sulla difesa sono serviti a coprire le partenze (gratis) di Zabaleta, Clichy, e Caballero, oltre al prestito oneroso di Joe Hart al West Ham, e la cessione di Kolarov alla Roma. In generale, la rosa ha perso anche l’esterno offensivo Nolito, rimpiazzato dall’arrivo di Bernardo Silva.
CAMBIO DI PELLE
Gli acquisti targati citizens in questa finestra estiva sanciscono definitivamente due cose: uno, Guardiola si è convinto a scendere a patti con il modello calcistico inglese; e due, l’abbandono totale all’idea del finto terzino. Una è la conseguenza dell’altra, nel senso che Guardiola ha dovuto per forza di cose ritrattare uno dei pilastri del suo gioco, e lo ha fatto per adattarsi alle esigenze del nuovo calcio che ha di fronte. Mendy, Walker e Danilo sono tutti e 3 terzini canonici, standard, che sfogano le proprie abilità muscolari percorrendo chilometri e chilometri macinando la fascia, senza avvertire il bisogno di accentrarsi per creare gioco come ha sempre richiesto Guardiola ai suoi laterali difensivi.
Questa è un’assoluta novità per il tecnico spagnolo, che quindi si appresta ad un’evoluzione del suo gioco, accettata quasi controvoglia, imposta da un’imposizione coatta. Oltre a Mendy e Walker, la coppia centrale dovrebbe riconfermare Stones-Otamendi titolari, davanti a uno tra Bravo ed Ederson tra i pali. A centrocampo plausibile utilizzo di un perno unico, ruolo conteso da Gündogan e Tourè, con l’ivoriano che dovrebbe partire titolare almeno all’inizio della stagione, fino a che l’ex Dortmund rientrerà completamente dal grave infortunio che lo ha colpito la stagione scorsa. Davanti, una folta linea di 4 centrocampisti offensivi di movimento, quali B. Silva, De Bruyne, D.Silva, e Sanè, tutti a supporto del numero 10 Agüero.
OCCHIO ALL’ATTACCO
Ciò che intimorisce più di ogni altro aspetto di questa squadra è senza dubbio la potenzialità offensiva. Guardiola ha a disposizione un arsenale devastante di giocatori mobili, tecnici, rapidi, intelligenti, e di qualità, tutti dietro ad una delle punte più immarcabili del pianeta (Agüero). Sarà divertente scoprire se l’allenatore punterà tutto sul lavoro dei trequartisti al servizio del centravanti, oppure se sfrutterà il lavoro del centravanti per favorire gli inserimenti di giocatori abilissimi in questo come i due B.Silva e Sanè. A rendere più intrigante il tutto, c’è la presenza del miglior assist-man della passata Premier League, Kevin De Bruyne, che ha surclassato chiunque in questa particolare classifica con 20 assist all’attivo.
L’ANNO BUONO?
Dopo questo triennio di insuccessi, il Manchester City non vuole sentire ragioni: questo deve essere l’anno del ritorno alla vittoria in Premier League. La squadra è assolutamente competitiva e all’altezza per riuscirci, l’allenatore sembra avere - finalmente - le idee chiare su come gestire le cose, e la dirigenza attende quasi smodatamente questo successo.
I citizens presenteranno in campo un potenziale che, in termini di tecnica e qualità, probabilmente al momento in Inghilterra non ha nessuno. Il discorso cambia se si pensa all’Europa, alla Champions League, dove comunque il City deve tornare a giocarsi almeno i quarti di finale; poi i sorteggi potranno aiutare o meno, ma i quarti di finale restano il must per Guardiola. Vedremo se l’ex allenatore Barcellona e Bayern Monaco troverà la ricetta per la pozione magica, quella che a Manchester, sponda City, aspettano ormai da 3 anni.