Come la più classica della fiabe, anche la Premier League di quest'anno sembra orientata verso il suo epico lieto fine. Niente sorprese, niente effetti speciali, ma solo apparentemente. Il campionato, che sta per volgere al termine, ha visto in sequenza nascita, sviluppo e consacrazione di una nuova creatura che molti avevano dato per spacciata o semplicemente "inadatta". Una creatura embrionale, alla quale il buon Antonio Conte ha letteralmente messo le ali, portandola per l'ennesima volta in cima all'Olimpo dei campioni. Arrivare in vetta non è mai cosa da poco, ma è il modo in cui ci si arriva a fare la differenza. Il Chelsea di quest'anno come il Leicester di Ranieri, Antonio Conte come Claudio Ranieri. Le 'foxes' di Leicester come i 'blues' di Londra. Il paragone può sembrare avventato ed eccessivamente intriso di epicità, come se si volesse celebrare a tutti i costi un'impresa che tale non è. Ma in fondo lo ha spiegato lo stesso Conte, qualche giorno fa nel corso di un'intervista, che si sta ritrovando a vivere (inaspettatamente) una delle più esaltanti esperienze della sua carriera da allenatore. Uno scudetto col Leicester si vince una volta ogni cento anni, ma uno scudetto vinto da questo Chelsea in questo modo non arriva certo come il giornale ogni mattina.
Partiamo dalla panchina, dove spesso si guarda di meno durante una partita, ma dove inevitabilmente si focalizza ogni attenzione sia quando si vince che quando si perde. I campioni in carica e l'attuale prima in classifica potrebbero accostarsi per la presenza di due condottieri marcatamente diversi, quasi antipodici per atteggiamento e aplomb. Ma ci sono alcuni particolari comuni, nella filosofia di gestione dello spogliatoio e nell'idea di calcio, che accomunano due professori di questo mestiere, l'uno all'alba della sua carriera, l'altro avviato verso il tramonto ma non per questo meno importante. D'altronde, la maturità e la saggezza che un essere umano può toccare nella parte finale della sua vita è qualcosa di sconvolgente e meraviglioso. La 'vecchiaia professionale' non va sottovalutata, soprattutto quando si parla di calcio. Non è una seconda giovinezza, ma una maggior consapevolezza delle proprie forze. La scuola italiana, sotto questo punto di vista, ci viene calorosamente incontro, consegnandoci due allenatori molto maniacali e al tempo stesso profondamente presi dalla loro causa anche fuori dal campo. La cura per la fase difensiva, l'adulazione del sacrificio come fine e non come mezzo, la compattezza e la concretezza rappresentano le tessere fondamentali di un preciso puzzle che, in un modo o nell'altro, fa sempre tornare i conti.
Antonio Conte è riuscito a costruire una squadra partendo da un mercato non propriamente esaltante, ma è uno di quei classici allenatori capaci di spremere ogni goccia di sudore dai suoi giocatori. Questa caratteristica Ranieri l'ha ottenuta da protagonisti quasi sconosciuti, ma capaci di esaltarsi nel corso di un'annata in cui ogni pallone passato dai loro piedi finiva per diventare oro. La difesa e la fase di non possesso sono una prerogativa importante da ambo le parti, poiché la splendida stagione di Morgan e Huth non ha nulla da invidiare alla peggior prestazione di un David Luiz qualsiasi. Ridare credibilità ad un pacchetto arretrato che, con Mourinho prima e Hiddink poi, aveva fatto quasi piangere non è roba da tutti. Ridare credibilità a quel pacchetto arretrato, comprando il meno difensore tra i difensori e un gregario come Marcos Alonso, è da considerarsi un assoluto capolavoro. Tantissime le varianti tattiche introdotte da Conte, che ha avuto la possibilità di sfruttare un'estate intera (e un'annata intera) senza l'assillo delle coppe europee. Da Azpilicueta nel terzetto difensivo alla sorpresa Victor Moses, dal ritrovato Hazard alla diga Kante (che guarda caso è un fattor comune ad entrambe le squadre in causa). Non è una coincidenza che il centrocampista francese stia per portarsi a casa il secondo titolo consecutivo da protagonista. Il suo apporto, in termini di equilibrio tattico, in questo tipo di squadre è assolutamente imprescindibile. Linee strette e presidio delle fasce, per poi scatenarsi in contropiede coi giocatori di maggior talento e qualità. Le varianti del gioco di Conte, assieme ad una rosa leggermente più ricca e variegata, permettono un approccio diverso e improntato al tipo di avversario da affrontare, sia in termini tattici che in termini di uomini. Il Leicester, sotto questo punto di vista, appariva meno "interessante", nonostante riuscisse a sfruttare l'arma del contropiede come poche squadre negli ultimi dieci anni.
Addentrandoci nelle nervature dell'organico di entrambe le squadre, la differenza potrà sembrare abissale. In realtà, è opportuno focalizzare l'attenzione su quattro personaggi (due per parte) che più di ogni altro hanno forgiato le rispettive formazioni sulle loro spalle. Vardy e Mahrez da un lato, Hazard e Diego Costa dall'altro. Il 9 e il 10, un quasi 10 e un vero 9. Eden Hazard e Riyad Mahrez sono due giocatori dalla qualità tecnica sopraffina, capaci di spaccare a metà le partite con una pennellata o una serpentina. L'algerino partiva da finto tornante del 4-4-2, il belga, riportato da Conte nella sua zona di competenza, ha beneficiato dello spostamento sulla trequarti dove, avendo meno spazio tra sé e la porta avversaria, riesce con maggior frequenza ad essere decisivo. Se parliamo di gol e concretezza, Vardy e Diego Costa rappresentano due autorità degli ultimi quindici metri. Due attaccanti di razza, i terminali perfetti di un gioco forsennato ed esaltante. Due killer capaci di elettrizzarsi al solo odore del sangue, il gol è la loro medicina, la loro unica ragione di esistenza. Terminali offensivi da leccarsi i baffi, ma anche i primi a dannarsi l'anima in fase di non possesso. La miglior difesa è conseguenza dei singoli centimetri guadagnati nella trequarti avversaria, è conseguenza di ogni pallone sporcato o deviato dal loro pressing solitario e apparentemente inutile. I quattro giocatori citati mostrano una spaventosa attitudine nel ribaltare l'azione, tagliando la difesa avversaria come burro e banchettando nella loro area di rigore. Per informazioni, chiedere al City di Guardiola e Pellegrini che, per due stagioni all'Etihad, ha patito questo atteggiamento senza riuscire ad opporre resistenza.
Citata una delle dirette concorrenti, non si può evitare di menzionare quel Tottenham che da due anni a questa parte esprime probabilmente il football migliore d'Oltremanica. Gli Spurs sono ripartiti quasi da zero con Pochettino, puntando forte su ragazzi giovani e inglesi che, a lungo andare, stanno costituendo anche la spina dorsale della nazionale dei Tre Leoni. La squadra del nord di Londra è quella che mette più paura nell'arco delle quaranta partite, per la sua capacità di annichilire il diretto avversario ed evitare le trappole lungo il cammino. Se lo scorso anno il Leicester trovò terreno fertile in una Premier apparentemente scarna e priva di un reale padrone, quest'anno il Chelsea (nonostante l'ottimo Europeo di Conte) partiva nettamente dietro ad alcune compagini sulla carta più attrezzate. Lo scarso rinnovamento della rosa e le spese folli delle rivali avevano etichettato il Chelsea come una possibile outsider, ma nessuno poteva credere in loro dopo il balbettante avvio di stagione. Non è un caso che lo scorso anno fu proprio il Chelsea di Hiddink a regalare la matematica vittoria agli uomini di Ranieri, probabilmente un segno del destino, serviva solo qualcuno che raccogliesse il morale di alcuni pezzi da novanta e lo riportasse in auge. Quel qualcuno è stato proprio Antonio Conte, che non ci ha pensato due volte prima di accettare questa sfida affascinante quanto ardua e impossibile. Ma si sa, il tecnico di Lecce adora mettere il naso dove nessuno oserebbe sporcarsi le mani.
Un'impresa scalfita a caratteri cubitali nella storia, un'altra in dirittura d'arrivo ma ancora tutta da decidere. Accostare Leicester e Chelsea, nella stessa frase, può sembrare utopia, ma i miracoli non sono mai casuali ed hanno tutti dei denominatori comuni. Ranieri e Conte si sono presi la scena, costruendo a loro immagine e somiglianza non tanto due formazioni, quanto una lunga lista di uomini pronti a dare la loro vita per una causa apparentemente irraggiungibile. La gloria eterna è l'obiettivo dei grandi avventurieri, la polvere nient'altro che il loro pane quotidiano. Ma se c'è qualcuno che non ha paura di partire in sordina ed emergere tra la melma dell'indifferenza, siamo proprio noi italiani. Con tutte le imperfezioni, i difetti e le mancanze di un popolo che non ha paura di soffrire di fronte all'obiettivo da raggiungere. Se impresa è, impresa dovrà essere e la Premier finirà per tingersi nuovamente di quell'azzurro sgargiante che a noi compatrioti piace davvero tanto.