La Coppa di Lega Inglese, attualmente EFL Cup - rimasta priva di sponsor, dopo i contratti con Carling e Capital One - è forse il trofeo meno glamour che la stagione di british football assegna, quello che le grandi tendono a mettere maggiormente in secondo piano, prediligendo la FA Cup, tra i due tornei. Diventa però un ottimo elemento di "consolazione", anche se è bene ricordare che si tratta pur sempre di un trofeo. Con una valenza emotiva in generale minore, rispetto a un campionato o una coppa europea, ma pur sempre un trofeo.
Secondo trofeo in stagione per Mou, dopo il Community Shield.
E ovviamente, quando José Mourinho vede un trofeo all'orizzonte, difficilmente se lo lascia scappare. Ieri, a Wembley, la tendenza è stata confermata: il portoghese si è preso l'undicesima finale su tredici disputate. A conti fatti, forse, una delle più fortunate nella sua storia.
Effettivamente la dirigenza dei Saints, ha scherzato un po' col fuoco durante il mercato di Gennaio, vendendo Fonte senza sostituirlo, puntando su Yoshida e Stephens, oltre che sull'olandese - ormai una garanzia e pronto per il salto in una big. I risultati di questa mancanza sono emersi ieri, quando i due centrali hanno regalato, in maniere diverse, i tre gol ai Devils. La prestazione del suo Manchester United non è stata infatti all'altezza della fama e del talento, del quale la sua squadra è fornita. Di fronte, innanzitutto, si è trovato un Southampton non rimaneggiato, ma quasi: l'assenza di Charlie Austin non si è fatta particolarmente sentire, mentre è stata piuttosto importante, anzi, più che decisiva, la mancanza di Virgil van Dijk in difesa.
Il Manchester United domina fisicamente la gara: 23 duelli aerei vinti, contro gli 11 dei Saints.
La gara non si sviluppa su un piano tattico ben definito, ma vive di folate, di momenti e soprattutto inerzia. Gli episodi indirizzano quest'ultima e modificano i rapporti di forza - questi ultimi avrebbero chiaramente dato ragione allo United. In novanta minuti che si caratterizzano con il soffio del vento a favore, un gol regolare che viene annullato diventa più che determinante: sullo 0-0, la gran giocata di Cedric a destra, col cross basso d'esterno, viene capitalizzata da Gabbiadini (e uno), in posizione nettamente regolare, ma non secondo il guardalinee, che annulla e nega ai Saints una grandissima occasione per girare subito la gara dalla propria.
La squadra di Puel potrebbe tutto sommato rimettersi subito in carreggiata, ma paga l'inesperienza e la poca abitudine a giocare partite di un qual certo livello dei propri uomini. Zlatan Ibrahimovic va a nozze con questa situazione, così al 19' trasforma un magistrale calcio di punizione per dare il vantaggio ai suoi. Il fallo di Romeu, che procura il piazzato, è irruento, ma allo stesso tempo ingenuo e non necessario: certi errori, in certe partite, si pagano. Così come le conclusioni non troppo convinte e nemmeno molto precise di Ward-Prowse prima, di Tadic poi: rompono solo a momenti l'inerzia della gara, il momentum psicologico. Sul secondo gol dello United, firmato Lingard, il comportamento della difesa del So'ton fa venire alla luce tutte le lacune di un reparto monco e improvvisato.
Gli stessi problemi emergeranno anche nel finale, quando, nelle fasi decisive e concitate - e dopo aver concesso già fin troppo - i due centrali si dimenticano totalmente di marcare a centro area Ibrahimovic. Non esattamente l'idea dell'anno. La punizione è poi la logica conseguenza, perché lo svedese, da quella posizione, non perdona, portando la coppa a Manchester.
Puel si ritrova a fissare il vuoto, ben conscio che il centrale olandese, il grande assente e vero uomo decisivo del match, gli avrebbe potuto risolvere il problema, togliendo Ibra dalla partita: Zlatan gioca infatti una gara abbastanza solitaria, fungendo da unico riferimento per tenere su il pallone, ma stra-dominando fisicamente i centrali avversari.
Per Gabbiadini, in Inghilterra, fanno cinque gol in tre partite (più uno annullato)
Nell'altra metà campo troviamo invece un Southampton ordinato, piuttosto pulito e con la solita idea di calcio, che si aggrappa sì alle giocate di Manolo Gabbiadini, ma coralmente regala speranza ai propri tifosi. Dalla cintola in su, i biancorossi sono assolutamente all'altezza della partita - anche perché, come spesso capita, è la retroguardia Devil a non esserlo, compiendo errori piuttosto banali di distrazione, come nel gol (convalidato) all'attaccante italiano.
Scendono dunque in campo i valori tecnici, a parità di errori in difesa: lo United risulta averne di più, nonostante la partita totalmente piatta di Paul Pogba a centrocampo. Mai uno strappo, mai una giocata per creare superiorità numerica. Il centrocampista sembra tornato quello dei primi mesi di stagione, quando si trovava a giocare mediano davanti alla difesa. Proprio come accaduto ieri.
Nulla al caso, quindi. Nemmeno in finale, soprattutto nemmeno in finale. Il Southampton ritorna sulla costa sud, con la consapevolezza di essere una squadra completa, in maturazione - anche a lungo termine -, ma anche sapendo che, con van Dijk, avrebbe potuto vincere tranquillamente. Invece la coppa finisce nella bacheca di Mourinho: non è la sua miglior vittoria, è anzi forse la meno entusiasmante, ma è una vittoria. La numero ventiquattro, per l'esattezza. Per il suo straripante attaccante che gli ha regalato la partita, a sua volta impacchettatagli dalla difesa Saint, è il titolo numero trentadue.
Grandi numeri per due principi del calcio, mentre dall'altra parte resta la bocca asciutta, condita solo da mille rimpianti.