Una notizia arrivata come una classica rete della sua squadra: veloce, inattesa, che prende in contropiede più o meno tutti, nel mondo del calcio. Il Leicester esonera Claudio Ranieri, 298 giorni dopo aver vinto uno storico titolo di Premier League, scrivendo una delle pagine di storia più sorprendenti del calcio. Di storia, che appartiene al passato. Che riguarda tempi andati. Oggi, nelle Midlands, la voglia di festeggiare sta toccando la soglia minima degli ultimi due-tre anni: il periodo di crisi attraversato dalle Foxes - nelle ultime nove partite, sette sconfitte, un pareggio, col Derby in FA Cup, e una vittoria, nel replay col Derby in FA Cup, in extra-time - ha costretto il board a prendere una decisione amara, sgradita anche a loro stessi, ma necessaria: salutare l'allenatore del miracolo.

Claudio Ranieri, 65 anni. | Fonte immagine: Il Napolista

Le parole che, da ieri sera, maggiormente risuonano nell'ambiente social - e non solo - sono gratitude riconoscenza. Effettivamente, analizzando solo un piccolissimo lato dell'enorme poligono che è la vicenda, potrebbe apparire sbagliato esonerare il tecnico che ha permesso una storica impresa, voltandogli le spalle peraltro dopo il risultato (ma solo il risultato) meno negativo tra quelli negativi, ovvero la sconfitta per 2-1 con il Siviglia in Champions League. Questo è, in linea di massima, l'aspetto in voga per la maggiore. Paradossalmente, però, è anche il meno importante di tutti, perché il club deve conseguire un obiettivo più grande del proprio rapporto con l'allenatore del Testaccio: la sopravvivenza. No, non in Premier League, nemmeno ai vertici del calcio inglese. La sopravvivenza del club stesso.

Riavvolgendo il nastro e andando indietro di qualche anno, è facile notare come delle nobili di massima serie, inciampate poi sul gradino della salvezza dopo aver raggiunto picchi inattesi, siano crollate, disperdendosi nelle serie inferiori. Uno dei casi più eclatanti riguarda il Portsmouth, vincitore della FA Cup nel 2008, attualmente in League Two, la quarta divisione; si possono però citare il Bolton e il Charlton, squadre da parte sinistra della classifica in Premier nella prima metà del decennio scorso, le quali oggi lottano per risalire in Championship. Lo stesso Birmingham, dopo essersi preso la Capital One Cup, si è smarrito nei meandri della seconda serie.

Il punto più alto raggiunto dal Leicester. | Fonte immagine: Juventibus

Quello che il board del Leicester non vuole si verifichi nelle prossime stagioni, è esattamente quanto accaduto alle squadre appena citate. Un rischio che corrono tutte, si potrebbe erroneamente pensare. Il monte ingaggi che il signor King Power, al secolo Vichai Srivaddhanaprabha, ha a libro paga, è però così elevato che, in caso di retrocessione, il danno economico sarebbe insostenibile. Parliamo di un totale di quasi 80 milioni di Euro, un dato quasi raddoppiato rispetto a due stagioni fa: il totale netto delle Foxes pareggia (circa) il lordo del Napoli, giusto per rendere l'idea. Scendere di categoria con questi salari, distribuiti scriteriatamente soprattutto in estate, rappresenterebbe un suicidio economico.

Sì, la Championship non è un campionato povero, il paracadute in questo senso potrebbe aiutare, ma non colmerebbe un tale buco che questi stipendi creerebbero. Le conseguenze potrebbero essere disastrose, pensando soprattutto alle svalutazioni che i giocatori subirebbero, e stanno subendo: si parlava di 30 milioni per un Vardy che al momento ne vale forse un terzo, addirittura oltre i 50 per Mahrez, più di 30 per Drinkwater. Oggi, al massimo, le Foxes potrebbero vendere Slimani per 20 milioni, forse 25, perché l'algerino è un giocatore che ha dimostrato tanto, sì, ma allo Sporting. Per il resto, il valore della rosa è crollato: anche (s)vendere potrebbe non bastare. E, in ogni caso, svendere significherebbe andare incontro a una serie di annate girovagando tra le categorie inferiori.

Ranieri e Vardi a colloquio. | Fonte immagine: Sky Sports

Questa è la doverosa premessa che spiega la situazione attuale del Leicester, il quale staziona un punto sopra la salvezza a 21 punti, contro i 20 dell'Hull e i 19 di Palace e Sunderland, col Boro a 22, lo Swansea a 24 e il Bournemouth a 26. Per rendimento - manco a dirlo - le Foxes sono attualmente la peggior squadra della lega. Come se non bastasse, a ciò va aggiunta la situazione nello spogliatoio: rottura quasi totale tra allenatore e veterani, tra i quali spunta Ulloa, con in allegato un emblematico tweet.

Il tweet fa riferimento al mancato trasferimento nel gennaio scorso dell'attaccante Argentino, che sembrava diretto al Sunderland.

Essendo sempre la somma a fare il totale, se alla situazione attuale disperata, con altissime probabilità di retrocessione, aggiungiamo le tragiche conseguenze che essa comporterebbe, la decisione della dirigenza vien da sé. Si sa, in questi momenti l'unica svolta possibile, specialmente quando tutto sembra già compromesso,  è cercare di cambiare l'allenatore: impossibile rivoluzionare la rosa a gennaio, ancora più impossibile farlo a febbraio, ovviamente. Paga l'allenatore, paga anche colpe non sue, specialmente l'appagamento dei vari Vardy, Albrighton, Morgan, Huth e Drinkwater e i rinnovi stellari che sono stati concessi ad alcuni. Paga un ambiente che, per i prossimi enne anni, resterà ancorato al titolo vinto come vanto: bellissimo, sicuramente, ma nel calcio non si vive di ricordi.

Conta il presente, conta la realtà dei fatti, non conta più la favoletta con lieto fine in allegato di una stagione fa: il Leicester è, ad oggi, la peggior squadra della Premier League. Non come elementi, perché la rosa è mediamente di buon talento dalla cintola in su, ma come gruppo, come assemblaggio, come grinta, come fame negli occhi - la stessa che l'anno scorso ha permesso la trionfale cavalcata. Ranieri, quest'anno, non è riuscito a trovare niente di tutto ciò. Non solo per proprie colpe, ma la realtà al momento è semplicemente questa. Andare avanti sarebbe stato un suicidio per entrambi.

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Probabilmente la scelta migliore che il tecnico avrebbe potuto prendere, sarebbe stata quella di abbandonare le Midlands Orientali in estate, sapendo di aver svolto al massimo il proprio lavoro. Come Rosberg in F1, come Mourinho all'Inter, per citare due esempi illustri. Troppo stretto però il rapporto con l'ambiente per staccarsi. Nemmeno lo stesso Ranieri si sarebbe immaginato che la situazione precipitasse. La decisione finale della dirigenza è però ineccepibile. Per quanto poco romantica possa apparire, è una scelta difficile da mettere in discussione, tecnicamente. Ed è forse l'ultima pagina del libro che narra la favola Leicester, che da oggi, nel presente, torna ad essere solo una delle tante realtà del calcio inglese.