Due sconfitte e tutti a casa. E' questo il disastroso bilancio dell'Uruguay del Maestro Triste Oscar Washington Tabarez nella Copa America del Centenario, in corso di svolgimento negli Stati Uniti. Risultato che definire deludente è senza dubbio riduttivo per una delle nazionali più gloriose e blasonate del Sudamerica, attesa a ben altra cavalcata nell'edizione 2016 di una manifestazione vinta più volte nella storia della Celeste.

Eppure le avvisaglie c'erano tutte. In primis, l'infortunio di Luis Suarez, stella della squadra e tra i migliori attaccanti al mondo, andato k.o. per un problema muscolare al flessore della coscia destra durante la finale di Copa del Rey disputata con il suo Barcellona contro il Siviglia il 22 maggio scorso al Vicente Calderòn. La frustrazione del Pistolero, che tira pugni deluso contro una panchina che non accetta ma a cui è costretto a causa delle sue condizioni fisiche, è l'instantanea del fallimento dell'Uruguay, già eliminato nel gruppo C dopo le sconfitte con Messico (3-1) e Venezuela (1-0). Ma mentre il k.o. inaugurale di Phoenix contro i centroamericani poteva anche essere messo in preventivo per la caratura dell'avversario, è stata invece la prestazione offerta contro la Vinotinto ieri al Lincoln Financial Field di Philadelphia a lasciare sconcertata la gente al di là del Rio de La Plata. Uno 0-1 beffardo, con Muslera che prima rimedia (parzialmente) a un suo errore su tiro da centrocampo, poi deve capitolare di fronte all'accorrente Rondon, boia dei sogni di gloria della Celeste. Nonostante una linea difensiva centrale ben collaudata come quella composta dal duo dell'Atletico Josema Gimenez-Diego Godìn (titolari anche nell'Atletico Madrid), la squadra di Tabarez ha perso negli ultimi anni quella compattezza nella propria metà campo che consentiva ai suoi grandi attaccanti di esprimere al meglio le proprie qualità in contropiede.

Il difficile ricambio generazionale torna oggi argomento di strettissima attualità a Montevideo, dove di certo non hanno gradito le prestazioni offerte dal Matadòr Edinson Cavani, a picco nella spedizione a stelle e strisce e orfano del gemello Suarez. Proprio su Cavani si concentrerà l'attenzione non solo dei media uruguagi ma anche di quelli francesi, con il Paris Saint-Germain che non pare troppo convinto dall'idea di costruirgli una squadra intorno, ora che Zlatan Ibrahimovic ha salutato in pompa magna il Parco dei Principi. Cavani è e resta uno straordinario finalizzatore (nonostante gli errori commessi contro il Venezuela), un atleta dalla capacità aerobica fuori dal comune, in grado di giocare anche sull'esterno se necessario, ma non è un leader offensivo a tutto tondo. Non ha il talento sufficiente per esserlo, nè la personalità, e il suo ruolo come trascinatore unico di una squadra esce molto ridimensionato da questa Copa America del Centenario. L'eliminazione della Celeste racconta però anche di un gruppo ormai a fine ciclo, dopo tre anni di grandissimi risultati (semifinale ai Mondiali del 2010 in Sudafrica, vittoria della Copa America l'anno successivo e buona Confederations Cup nel 2013). L'ultimo biennio è stato infatti molto deludente per l'Uruguay, arresosi agli ottavi in Brasile contro la Colombia di James Rodriguez, malissimo in Cile lo scorso anno e forse ancora peggio in questa estate a stelle e strisce. Resta un ultimo impegno da onorare, la sfida di lunedì notte a Santa Clara contro la Giamaica: da lì in poi occorrerà nuova linfa a una nazionale che non concede a se stessa di rimanere nell'anonimato.