La chiamano “la NBA del calcio”, e c’è più di un valido motivo per credere che questo nomignolo sia azzeccato. La Premier League attira appassionati di calcio da ogni angolo del globo, è uno spettacolo che va forse oltre il semplice gioco sul rettangolo verde. Entertainment a tutto tondo. Guardarla porta emozioni, raccontarla ancor di più. Per noi Italiani la voce della Premier League è Fox Sports, il canale della piattaforma Sky che ogni weekend porta il calcio inglese nelle case degli appassionati. Una delle principali voci è senz’altro Emanuele Corazzi. In settimana ha affrontato un viaggio attraverso il football nel paese della regina Elisabetta, toccando tre città.
In attesa del documentario completo, Premier Express, che andrà in onda ovviamente su Fox Sports domenica 24 gennaio alle 19.45, abbiamo intervistato il diretto interessato, il quale ci ha parlato sì del suo viaggio e dei protagonisti con cui ha interagito, ma anche di molto altro. Ovviamente sempre a tinte british.
Da Bournemouth a Newcastle, da Newcastle a Liverpool. Una full immersion di football, tanto difficile quanto gratificante: “L’idea era di sperimentare un format abbastanza impegnativo – ci spiega Emanuele - ci voleva una logistica che funzionasse bene: il treno che doveva coincidere con la macchina, che doveva coincidere a sua volta con gli impegni sul posto, però è andata benissimo per cui alla fine sono molto soddisfatto”.
Di ogni città ovviamente resta qualcosa, resta una fotografia particolare: “Faccio fatica a sceglierne una perché mi verrebbe da dirne una per città…”. C’è però un luogo sopra a tutti che non può lasciare indifferente alcun amante del calcio: “Sicuramente ad Anfield la passione coinvolge talmente tanto che vien proprio da rispettarlo, è come una moschea in cui un cattolico si toglie volontariamente le scarpe. Il ‘You’ll Never Walk Alone’ all’inizio e alla fine, il memoriale di Hillsborough, questi pub intorno pieni di foto e storia del Liverpool... È lo stadio, tra tutti quelli in cui sono stato, che più mi incute questo rispetto, viene quasi da immedesimarsi in quello che provano i tifosi”.
Quella sera in campo ad Anfield, a sfidare il Liverpool, è sceso l’Arsenal. Una delle partite migliori della stagione, terminata 3-3 tra rimonte e contro-rimonte, che ha confermato le impressioni destate dalle due protagoniste nel resto della stagione. I Gunners si dimostrano ancora squadra ostica e anche di carattere, seria candidata al titolo, mentre i Reds sgambettano un’altra grande, anche se la posizione di classifica non aiuta. "Oggi secondo me è una squadra a un livello inferiore ad altre quali sono sicuramente l’Arsenal, il City, forse anche lo United, e secondo me è inferiore anche al Chelsea come rosa, per cui non si può pretendere tantissimo nel breve termine", spiega Emanuele parlando della situazione del Liverpool, che con Klopp in panchina può però costruire su basi solide, anche se il futuro è per tutti un’incognita. “Per l’anno prossimo – prosegue – è difficile dirlo oggi perché dipende da una serie di fattori, ad esempio se dovesse essere senza impegni Europei, lotterà per il titolo. Sicuramente è comunque un progetto destinato a crescere, ovvio che l’anno prossimo il Liverpool partirà con l’obiettivo almeno di entrare nelle prime quattro”.
Resta scettico invece sulle possibilità del Manchester United in stagione, e di Louis van Gaal in particolare. Se mercoledì il viaggio ha toccato Liverpool, martedì era stato il giorno di Newcastle. Al St. James’ Park è arrivato un altro 3-3, proprio con i Red Devils protagonisti. Un altro risultato, e soprattutto un’altra prestazione, che non consolidano la posizione del tecnico olandese: “Per una serie di motivi van Gaal non avrà grande futuro. Ha robotizzato la squadra: segue sicuramente quello che lui gli chiede, continua a farlo, e questo è un dato, perché in campo si vede la sua filosofia, che possa piacere o no. Però è prevedibile, è molto prevedibile. Lui non lascia liberi i talenti, ha voluto puntare su giocatori come Depay, ma li ha inibiti. Non vedo grandi orizzonti. Sono anche complici un po’ di delusione poiché questo doveva essere l’anno in cui lo United doveva lottare per il titolo, le polemiche intorno, e anche il fatto che la squadra non cambia il modo di giocare”.
Un altro passo a ritroso e si arriva a Lunedì. La città è Bournemouth, e nel Dorset un uomo in particolare sta regalando sogni. Siede sulla panchina delle Cherries ed ha legato indissolubilmente il suo nome al rosso e al nero, prima da giocatore e poi anche da allenatore: Eddie Howe. “Mi ha dato l’impressione di una persona estremamente moderna, energica. È una cosa molto bella”, racconta di lui Emanuele, che ha avuto anche la possibilità di intervistarlo.
Il discorso ha ovviamente coinvolto anche la matricola-sorpresa della stagione: il Bournemouth, promosso nella scorsa stagione da primo in classifica, ha conquistato scalpi di prestigio e sta macinando punti che potrebbero valere una salvezza. Il tutto al primo anno nella massima divisione britannica. L’obiettivo è raggiungibile, ma Emanuele ci spiega anche i risvolti negativi che i tanti investimenti attuati potrebbero avere in caso di fallimento: “Il Bournemouth ha un proprietario che può investire, quindi questa è una garanzia. Detto ciò, per la lotta salvezza inciderà anche quanto spenderanno le altre squadre. In questo momento sono tutte alla disperata caccia di giocatori per fare una squadra forte, per rimanere in Premier League l’anno prossimo, dato che ci sarà un contratto ricchissimo a livello televisivo, ed è un grossissimo azzardo. Fare una squadra, spendere tanti soldi, ma in caso di retrocessione con gli ingaggi molto alti si rischia veramente un crack: il primo anno in Championship c’è il paracadute, ma se poi non si risale subito ci si rovina, come successo al Birmingham, al Bolton, al Blackburn, tantissime altre. Il Bournemouth sta rischiando, investe, ed è segno che lotterà per la salvezza, e ha tutte le carte per farlo”.
Se Howe studia per scrivere pagine di storia, c’è chi con le Cherries ne ha inchiostrate diverse, non riuscendo però mai ad arrivare in prima serie. Harry Redknapp, uno tra i migliori manager inglesi degli ultimi 20 anni, deve tanto alla città e alla squadra (e viceversa). Oggi, senza una panchina, si reca spesso al Vitality Stadium, anche perché è “malato di calcio, passa le sue giornate a guardare partite”, come ce lo descrive Emanuele, che ha passato una sera in sua compagnia, quando il manager è stato ospite all’interno di House of Football, programma condotto da Paolo Di Canio, che con Redknapp ha lavorato. “Una persona estremamente affabile, quindi molto disponibile. È meno energico di un tempo”, prosegue.
I due erano stati uniti dai colori claret and blue del West Ham, una delle principali sorprese della stagione di Premier. Una giusta gestione delle ricche risorse liquide nelle casse della proprietà e un tecnico perfetto per la panchina degli Irons: “La componente economica è un fattore, il West Ham è una squadra che da due anni investe molto, ha incassato pochissimo dalle cessioni e ha fatto molti acquisti. Dopodiché anche il Newcastle ha fatto così… Dimostrazione che bisogna sapere anche investire nei giocatori giusti e il West Ham è stato sicuramente più bravo, così come il Crystal Palace. Essere l’allenatore di una squadra che può spendere molto sicuramente agevola. Bilic mi aveva fatto una buona impressione sia come allenatore della Croazia che del Besiktas quando ha eliminato il Liverpool (sedicesimi di Europa League 2014/15, ndr), e poi ha questo legame con l’ambiente molto forte, immaginavo da subito che fosse la scelta giusta. Il West Ham ha però bisogno di avere giocatori a disposizione perché non ha moltissimi ricambi”.
Restando a Londra, spostandoci verso il centro-nord nel nostro viaggio, ora immaginario, nel mondo della Premier League, incontriamo un’altra realtà quale il Tottenham, un’altra sorpresa situata sulle sponde del Tamigi. Secondo Emanuele, le ambizioni di Champions League sono raggiungibili, grazie soprattutto al lavoro di un tecnico preparatissimo: “Gli Spurs hanno perso in casa l’altro giorno (mercoledì, 0-1 col Leicester, ndr) ma vanno avanti bene, quest’anno hanno finalmente le carte per entrare nelle top four. A me Pochettino piace molto, è un allenatore che, a dispetto di un fare che sembra quasi calmo, sa infondere molta grinta ai suoi. Non ha una rosa al livello delle primissime, è stato lui a fare la differenza, come la faceva al Southampton. Forse nessuno avrebbe detto a inizio stagione che il Tottenham poteva arrivare tra le prime quattro, ha perso una partita importante col Leicester perché poteva essere lo spartiacque per mandare uno schiaffo emotivo alla squadra di Ranieri e tenersi in lotta per il titolo, però penso che alla fine faranno molto bene”.
Già, quel Leicester che sta regalandoci una delle più belle favole del mondo del pallone degli ultimi anni. “La verità è che ci sono alcuni pronostici che sono sempre frutto del momento”, risponde Emanuele alla più classica delle domande, ma anche la più difficile: quando durerà? “Vedendo giocare la squadra è difficile, per il materiale che ha e per l’organizzazione, pensare che possa fare più di così – argomenta poi – come il Liverpool quando all’inizio è arrivato Klopp: sarebbe stato un errore pensare che avrebbe potuto lottare per il titolo, perché la squadra è quella, i livelli sono quelli. Se me lo avessi chiesto martedì ti avrei detto che il Leicester non arriverà tra le prime quattro, perché veniva da un periodo in cui aveva un po’ mollato, è normale. È una squadra al top con tutti a disposizione, tutti che corrono, appena è calato un po’ Mahrez e si è fatto male Vardy hanno perso qualche punto. Eppure, sia quello che hanno fatto in FA Cup col Tottenham, sia la vittoria in campionato sono secondo me dei segnali giganti da parte del Leicester. Il fatto che Vardy sia andato con la squadra in Coppa anche se era stato operato due giorni prima, ed è voluto scendere in campo, vuol dire che secondo me lì dentro c’è una fame, una voglia di fare bene che già hanno dimostrato durante il periodo di Natale, perché non hanno mai subito scossoni emotivi. È difficile pronosticare, però finora hanno risposto giornata dopo giornata oltre le aspettative. Non è tanto quello che han fatto fino a metà dicembre, è quello che han fatto dopo che mi ha meravigliato”.
In realtà la Premier quest’anno sta regalando anche altre favole, sia a livello di singoli che di squadre partite per salvarsi e all’improvviso in una posizione di classifica di tutto rispetto: “Le sorprese sono il frutto del fatto che molte grandi per vari motivi hanno ceduto. Penso al Chelsea, penso alle due di Manchester. Gente come Diego Costa, Aguero, i giocatori dello United, non sta rendendo al top, e quindi viene maggiormente evidenziato quel che fanno bene altri giocatori”.
C’è però un punto di contatto fondamentale che unisce forse le due più belle sorprese della stagione, ovvero il sopracitato Leicester e il Watford, ed è la solidità di un progetto iniziato in tempi non sospetti: “Sono due esempi tipicamente inglesi di realtà dove il progetto cresce nel tempo, partito dalla seconda serie, arrivato in prima e nel caso delle Foxes si è anche consolidato nell’arco degli anni, ma dando continuità. Il Leicester da quando è salito dalla Championship alla Premier ha tenuto tantissimi giocatori, e anche quest’anno. Paradossalmente Behrami, Holebas, Ibarbo, Diamanti, alla fine non hanno giocato molto. Sono delle squadre che mettono in condizione il singolo di rendere al massimo: Ighalo e Vardy hanno quel comfort emotivo intorno che fa sì che rendano al massimo. Dare continuità a un progetto, se è buon progetto, paga sempre”.
Il risvolto negativo della medaglia riguardo ai progetti lo si può vedere in bassa classifica, in particolare nella gestione errata di chi gestisce una squadra di calcio senza essere uomo di calcio. Questo è, secondo Emanuele, il problema delle ultime tre della classe, in particolare del fanalino di coda: “Tre delle quattro-cinque squadre che fanno più fatica sono il Sunderland, il Newcastle e l’Aston Villa. Sono tre società che hanno avuto dei business-men, e non uomini di calcio, che non sono riusciti a dare una linea tecnica chiara, si sono affidati a delle persone non giuste. Il risultato è questo. Hanno investito in giocatori sbagliati, hanno creato molta confusione a livello societario. Se si guarda quanto hanno speso, ci si chiede come è possibile che siano dietro a certe squadre. L’Aston Villa ha sbagliato tanti acquisti. In Inghilterra è giusto inserire giocatori stranieri ma bisogna mantenere l’anima british, o avere la capacità di adattarsi a quel calcio velocissimo e fisico, e se lo vedi dal vivo te ne rendi conto ancora di più. L’Aston Villa non ci è riuscito quindi per me la sua salvezza è complicatissima, quasi impossibile”.
E mentre il mercato impazza, è cominciata la corsa all’attaccante, o comunque al giocatore offensivo capace di poter regalare una svolta alla stagione, forse tralasciando l’aspetto difensivo. Secondo Emanuele l’idea, per quanto condivisibile o meno possa essere, è una sola: “Nel momento in cui si cerca il colpo per provare a migliorare molto la squadra d’istinto viene da comprare giocatori che hanno i colpi e sembra che attraverso questi si possa sopperire ad alcuni limiti, per esempio il Newcastle cerca di costruire la salvezza attraverso elementi un po’ più forti”.