Era un mattino di dicembre, avevo soltanto dieci anni e si sa, a quell'età un bambino ha in testa soltanto il calcio. Impazzivo per il Milan dei vari Kakà, Shevchenko, Inzaghi, Nesta, Maldini, Gattuso, Seedorf e tanti altri ancora che stavano per giocarsi la Coppa Intercontinentale contro una squadra per me fin lì sconosciuta, tale Boca Juniors, campione del Sud America. La partita andò ai rigori e a vincere fu il Boca; si trattò di una sconfitta scottante ma, tra le lacrime e i rimpianti, un giocatore della squadra avversaria mi colpì in particolar modo: era un attaccante giovane, un diciannovenne piccolino ma con il fisico ben strutturato, dal baricentro basso che sapeva già difendere magistralmente il pallone e già in grado di far reparto da solo (questa edizione de Los Xeneises era infatti priva sia di Juan Roman Riquelme, da pochi mesi accasatosi al Villarreal dopo la non troppo felice parentesi in maglia blaugrana, che di Martin Palermo, miglior marcatore di sempre in maglia boquense e in quegli anni in cerca di fortuna in Spagna tra Villarreal, Betis Siviglia e Alaves).
Mai sarei potuto immaginarmi che quel folletto in maglia azul y oro sarebbe diventato una leggenda per il popolo boquense e un'icona per il calcio argentino. Sì perchè il protagonista di questo racconto ha alle spalle una storia davvero incredibile.

Carlos Tevez nasce a Ciudedadela, una città sita nella parte meridionale della provincia di Buenos Aires, il 5 febbraio 1984; nasce in realtà Carlos Martinez ma a soli tre mesi è abbandonato dalla madre biologica e viene adottato dagli zii e prende il cognome dello zio Segundo. La sua vita come si vede sin da questo episodio non sarà affatto facile. A dieci mesi gli cade sul viso l'acqua bollente e, nel trasporto in ospedale, viene riparato con una coperta di Nylon che, a contatto con l'acqua bollente, si scioglie e aggrava ancor di più le condizioni del piccolo Carlos. Dopo due mesi di terapia intensiva è dimesso dall'ospedale ma sulla sua faccia e sul suo collo rimarranno delle vistose cicatrici che lo hanno sempre accompagnato e che saranno la causa di uno dei suoi soprannomi, El braseado (il bruciato). Ma il suo storico soprannome è El Apache, si perchè ciò che lo caratterizza è soprattutto il viscerale attaccamento verso la sua terra natale, quel quartiere rinominato Fuerte Apache (dall'omonimo film di Paul Newman del 1981), in principio "El ejercito de los Andes", una delle zone più malfamate e pericolose della periferia di Buenos Aires, dove criminalità e malavita sono all'ordine del giorno e per evitare di esservi travolto è necessario avere la corazza dura.
Il piccolo Carlitos cresce sempre in strada, scalzo, con un pallone tra i piedi e un sogno, quello di poter vestire la maglia della tanto amata Boca Juniors, la squadra per cui si faceva il tifo in casa Tevez; per arrivare a vestire la casacca blu e gialla c'è però una tappa intermedia, dove gioca per gli All Boys, una delle tante squadre professionistiche della capitale argentina. Nel 1997, a soli tredici anni, il piccolo talentino non sfugge agli occhi degli osservatori boquensi che, dopo un escamotage architettato in maniera geniale, riescono a strapparlo agli All Boys.
Dovremo attendere ancora quattro anni per vederlo esordire con la prima squadra e succede precisamente il 21 ottobre 2001 quando Oscar Washington Tabarez lo fa esordire nemmeno maggiorenne in una gara di apertura contro i Talleres de Cordoba; il primo gol con la maglia xeneise arriva l'8 luglio 2002 contro l'Olimpia Asuncion in Copa Libertadores, rete che vale l'1-1 finale.
Il primo anno non arriva nessun trofeo ma è l'anno successivo quello perfetto, con il Boca che vince campionato di apertura, Coppa Libertadores (gol di Tevez in finale contro il Santos), Coppa Intercontinentale e Copa Sudamericana. In questi due anni l'Apache gioca in una maniera celestiale, sempre decisivo e, cosa ancor più importante per il contesto calcistico del paese che diede i natali a Ernesto Guevara de la Serna, diventa un vero e proprio idolo per la tifoseria boquense prima e argentina poi, tanto da aver l'onore di essere chiamato "il giocatore del popolo". Sì perchè Carlitos entra anche nel giro della selecion albi-celeste e nel 2004 è il mattatore del torneo olimpico di Atene dove vince l'oro con la sua nazionale, oltre che un argento in Copa America, dove la squadra allenata da Bielsa si deve arrendere solo ai rigori contro il Brasile.


Il nome di Tevez è sulla bocca di tutti e in questi due anni si aggiudica ben due edizioni del Balon De Oro, l'equivalente del pallone d'oro assegnato però al miglior giocatore che gioca in campionati sudamericani: molti club europei fanno la corte per il funambolo argentino ma, a sorpresa, Carlitos firma per il Corinthians, che si priva di ben 16 milioni di dollari per assicurarsi le sue prestazioni, cifra più alta mai spesa da un club sudamericano fino ad allora. Questa decisione desta molto scalpore soprattutto tra i tifosi carioca, visti i rapporti troppo spesso focosi tra i due paesi a livello calcistico. Insieme a lui anche Javier Mascherano firma per il club paulista, giocatore con il quale Tevez stringerà una grande amicizia che dura fino ad oggi, compagni di nazionale.
Al Corinthians Tevez impiega poco tempo a conquistare il cuore dei tifosi e regala loro la vittoria del campionato brasiliano; in occasione della celebrazione la squadra viene ricevuta dal presidente Lula e Carlitos ha l'onore di regalare al presidente una maglia personalizzata con il suo numero 10.

Il fantasista però si accorge che è troppo forte per restare in Sud America e coglie al volo l'opportunità per compiere il grande salto in Europa: il 31 agosto 2006, ultimo giorno utile per compiere operazioni di mercato, Tevez si accasa al West Ham United insieme a Mascherano in un'operazione che fece molto scalpore per i dettagli finanziari. L'annata però risulta essere difficile e le molte incomprensioni con il coach degli hammers Alan Pardew, che troppo spesso lo impiega da esterno di fascia, non gli permettono di esprimere al meglio il suo talento. Rimarrà comunque nei cuori dei tifosi londinesi grazie al gol nell'ultima giornata all'Old Trafford già campione d'Inghilterra che garantisce la salvezza alla squadra.

E' proprio il Manchester United di sir. Alex Ferguson che l'estate successiva si aggiudica le prestazioni dell'argentino per 13 milioni di euro, andando così a formare un trio d'attacco stellare con Wayne Rooney e Cristiano Ronaldo. Sono due anni spettacolari in cui i Red Devils esprimono un gioco scintillante e vincono tutto ciò che si può vincere: due campionati, due Community Shield, una Champions League (con una finale persa l'anno successivo) e una Coppa del Mondo per Club.
Ma anche qui il rapporto non è mai idilliaco, con il carattere molto forte e scontroso del sudamericano che ne minano i rapporti con gli avversari, tanto che negli ultimi mesi si scontra spesso con l'allora capitano Gary Neville e tutto questo fa presagire la fine del rapporto.

Detto fatto, nell'estate 2009 si consuma il "tradimento", come verrà definito da Ferguson, ai danni dello Utd, attraversando il fiume e firmando per i cugini del Manchester City per la roboante cifra di 45 milioni di euro; in maglia citizen l'Apache si presenta in grande stile, con 29 gol nella prima stagione di cui 23 in Premier League.
Nel dicembre 2009 però c'è un cambio alla guida tecnica con l'arrivo di Roberto Mancini e tra i due è subito amore, tanto che l'allenatore jesino gli affida la fascia di capitano e l'argentino lo ripaga a suon di gol e prestazioni da top player. Questo rapporto a prima vista idilliaco non dura a lungo e, dopo alcune frecciatine, durante una gara di Champions League contro il Bayern Monaco, Tevez si rifiuta di entrare in campo. Mancini decide di lasciarlo fuori squadra e l'argentino se ne torna in patria senza autorizzazione della società che lo multa per la bellezza di 1,4 milioni. A fine stagione è reintegrato in rosa giusto in tempo per vincere il suo terzo campionato inglese, il primo dopo ben 43 anni per i Citizens.
Carlitos resterà ancora un anno alla corte dello sceicco Mansur, dove, in concomitanza con l'addio di Mancini, vedrà più spesso il campo. Nella sessione di mercato di gennaio fu ad un passo dal Milan, con l'operazione che avrebbe portato in rossonero il sudamericano con l'approdo di Pato al Psg, cosa ormai fatta fino al dietrofront di Berlusconi.

L'Italia era comunque nel destino di Tevez: nell'estate del 2013 infatti approda all Juventus per la ridicola cifra di 9 milioni più eventuali 3 di bonus. Il biennio in maglia bianconera rilancia il talento argentino: il primo anno porta nel palmares uno scudetto sotto la guida di Antonio Conte e il secondo, con Allegri in panchina, lo vede grandissimo protagonista anche e soprattutto a livello continentale con la grande cavalcata degli juventini fino alla finale di Berlino, poi persa contro il Barcellona. Come consolazione, solleva il secondo campionato italiano e la Coppa Italia vinta in finale contro la Lazio.

Quest'estate, dopo il ritorno in nazionale a distanza di quattro anni, sotto la guida di Gerardo Martino perde la sua terza finale di Copa America su altrettante disputate. Nonostante un'ottima stagione, non viene convocato da Sabella per i mondiali in Brasile, dove l'albiceleste si ferma ancora ad un passo dal metallo più pregiato.
Poi arriva il momento tanto atteso, il momento del ritorno. Il giorno della sua presentazione la Bombonera è gremita e vestita per le grandi occasioni, con scene da lacrima agli occhi e stretta al cuore. Ma tutti si domandano se Carlitos sia in grado di risollevare il Boca dopo le ultime due annate culminate con la beffa bruciante di vedere gli acerrimi rivali del River Plate vincere prima la Sudamericana (2014) e poi la Libertadores lo scorso giugno.
Invece pronti e via, un grande inizio in campionato con un appassionante testa a testa con il San Lorenzo dove Tevez dimostra di essere subito leader della squadra oltre che il beniamino della curva azul y oro. Domenica il giorno più bello, con la vittoria interna sul Tigre e la festa che può cominciare: Boca Campèon risuona dall'alto parlante della Bombonera con i tifosi impazziti e in mezzo al campo sempre lui, il grande autore di questa vittoria, El nino de la calle y el hombre del pueblo, portato in trionfo dai compagni.
Neanche il tempo di festeggiare che tre giorni dopo arriva il secondo trionfo, stavolta è la Copa de Argentina, vinta al Mario Kempes di Cordoba contro il Rosario Central con un perentorio 2-0.



Sembra il finale perfetto della favola. Dal nulla, successo e popolarità, attraverso diverse difficoltà, senza dimenticare il legame con la terra d'origine, nonostante i milioni guadagnati. E il nostro eroe ha solo trentun'anni, i tifosi boquensi possono fregarsi le mani per le vittorie che l'Apache regalerà loro nei prossimi anni.