2 giugno 1988, Piñero Hospital, Quimes, sud est di Buenos Aires: Leonel de Castillo ed Adriana Agüero danno alla luce (dopo molteplici complicazioni) il loro secondogenito, chiamato Sergio. Il bambino adotterà il cognome materno per problemi burocratici, e verrà registrato con il nome del padre a livello di secondo nome.
Il suo talento l’ha sempre portato sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori, siano essi allenatori o talent scout, estasiati di poter ammirare un giocatore offensivo dannatamente veloce quanto letale sotto porta, rapido nei cambi di direzione (agevolato dal baricentro basso) e abbastanza forte fisicamente da reggere il confronto anche contro avversari ben superiori a lui di stazza.
Con la nazionale a livello giovanile ha l’opportunità di partecipare e vincere i campionati del Mondo Under 20 nel 2005 e nel 2007, ottenendo nel secondo caso anche il riconoscimento come miglior calciatore del torneo, succedendo ad un certo Lionel Andrés Messi, nato a Rosario nemmeno un anno prima. Nel 2008, in occasione dei giochi Olimpici di Pechino, vince il torneo maschile, realizzando una doppietta ai danni del Brasile in semifinale.
La sua maturazione, fisica e mentale, prosegue con la prima esperienza all’estero, all’Atlético Madrid, sotto la guida di due mentori che riescono a collocarlo definitivamente nello scacchiere Colchonero, prima come seconda punta ed in seguito come attaccante centrale: Javier Aguirre e Quique Sánchez-Flores (con il quale vincerà un’Europa League ed una Supercoppa Europea assieme all’altro compagno di reparto sudamericano, Diego Forlàn).
Con l’Albiceleste continua a raccogliere ben poco, finendo spesso sull’altare della stampa (era impossibile screditare Messi ai tempi), anche quando in linea di massima risultava uno dei migliori della spedizione, non tanto ai Mondiali 2010 bensì alla Copa América 2011, giocata in casa.
La chiamata da parte di una big europea (all’epoca i Rojiblancos equivalevano ad un Porto attuale) non tarda ad arrivare e dunque, nell’estate del 2011, approda al Manchester City, del tecnico italiano Roberto Mancini, che lo riporta nel suo ruolo naturale di seconda punta, facendolo girare in lungo e in largo dietro le spalle di Džeko o Balotelli.
L’impatto con il calcio inglese è spaventoso, non solo a livello realizzativo ma anche per quanto concerne le prestazioni. I risultati? Parlano chiaro: Premier League (con gol decisivo allo scadere contro il QPR su assist di Balotelli) e Community Shield nel 2012, Premier League ed F.A. Cup nel 2014, 81 gol in 131 partite.
Come possiamo notare nella tabella che segue, l’argentino è al primo posto della classifica All-time della Premier League per quanto riguarda il rapporto minuti giocati/gol, davanti a mostri sacri come Thierry Henry e Ruud van Nistelrooy.
Ciò che fornisce enorme rilevanza alle tesi portate avanti dai suoi detrattori è il rendimento nei momenti decisivi, specie nella Selección , dove la maggior parte delle volte si è rivelato quantomeno deleterio all’obiettivo comune, risultando spesso ingombrante. Non a caso infatti, agli ultimi Mondiali, la squadra di Sabella ha trovato un minimo di equilibrio quando il nativo di Buenos Aires è stato costretto al riposo, saltando ottavi, quarti, e la maggior parte delle sfide decisive contro Olanda e Germania, rispettivamente in semifinale e finale.
La parabola del Kun Agüero è facilmente paragonabile a quella di un altro grande calciatore, tornato da poco sui suoi standard attuali: Cesc Fàbregas. Così come lo spagnolo infatti, l’argentino ha sempre ricevuto sin da piccolo elogi importanti da parte degli addetti ai lavori ed in relazione all’aspettativa generale che si era creata attorno a lui (era lui l’erede di Maradona nel biennio 2006-2007), quanto raccolto fin qui dal #16 del City potrebbe essere insufficiente (stesso discorso per il regista del Chelsea, da piccolo considerato superiore e non di poco al duo Xavi-Iniesta), ma a voler guardare bene i vari risultati ottenuti con il materiale umano a disposizione scopriremo presto che così non è, che magari non passerà alla storia come un fenomeno assoluto in grado di spaccare le partite in ogni circostanza (ma al giorno d’oggi se ne contano tre: Ronaldo, Messi ed Ibrahimović), bensì come un grande calciatore capace di regalare diverse gioie alle proprie squadre piazzando spesso la giocata decisiva.