Tale padre, tale figlio. In questo caso non è proprio cosi, ma calcisticamente parlando, Ole Gunnar Solskjaer, può di fatto essere annoverato come uno dei figliocci di Ferguson nei suoi anni passati all'Old Trafford. L'ex attaccante classe '73, 366 presenze e 126 gol con lo United, ha definitivamente consacrato il proprio salto nella carriera di allenatore, accasandosi con i gallesi del Cardiff la scorsa settimana. Con un recente passato con le giovanili dei Red Devils e l'esperienza in Norvegia con il Molde, Solskjaer si presenta alla nota platea della Premier League, con un'ideologia di calcio, figlia dei trascorsi all'ombra dello scozzese. Il pluridecorato Ole, può cosi provare a ripercorrere i passi leggendari del suo anfitrione a Manchester, con una panchina, scomoda vista la lunatica dirigenza Tan, ma che potrà senza dubbio servire per il percorso di crescita del norvegese, magari, in una marcia di avvicinamento proprio alla guida dello United. Solskjaer diventa di fatto il sesto ex calciatore che irrompe sul palcoscenico manageriale, dopo aver passato anni sotto l'ala protettiva di Alex Ferguson. In passato infatti era toccato in ordine più o meno temporale a Bryan Robson, ex capitano dei Red Devils e centrocampista dell'Inghilterra, il nativo di Chester, divise la propria carriera da calciatore con il West Bromwich prima, e lo United poi. Da allenatore però, il cammino iniziò in quel del Riverside alla guida del Middlesbrough nel doppio ruolo di giocatore-allenatore. Da li un percorso non brillantissimo con il Bradford e il ritorno alle origini con i Baggies, con una salvezza ottenuta dopo un avvio shock e l'ultima posizione a metà stagione. Robson può condividere con un altra stella dello United, Steve Bruce, il titolo della Premier League nel suo primo anno di vita. Proprio Bruce viene considerato ad oggi, uno dei più convincenti e stimati allenatori cresciuti a pane e Ferguson. Nove anni da protagonista all'Old Trafford e una carriera da head coach resa celebre dagli anni a Birmingham. Da qui il passaggio al Wigan, poi al Sunderland e finalmente all'Hull, con la promozione e un campionato in corso che ha dell'incredibile. Per lui 336 panchine nel massimo campionato inglese.
Come dimenticare Roy. Roy Keane si intende. Rapporto tormentato quello con Ferguson, che anche nella sua autobiografia, non evita di scagliarsi contro il suo ex capitano, reo di essere troppo accentratore e contro l'equilibrio nello spogliatoio. Eppure sono gli amori più tormentati che maggiormente tornano improvvisi alla mente. Keane è ad oggi uno di quelli con il minor numero di panchine in Premier, appena 53. Con i Black Cats una partenza bruciante, promozione immediata, prima stagione complicata ma obiettivo salvezza centrato, poi nel 2008 l'addio con qualche passo falso di troppo, e la sensazione di non trovarsi nel posto giusto. Il pezzo da novanta del puzzle rimane comunque Mark Hughes. Un passato con il Barcellona, anni storici con il Manchester United e una carriera da allenatore iniziata con il botto alla guida del suo Galles, lui nato a Wrexham. Da li Blackburn, Manchester City, par qualcuno tradimento, poi Fulham, Qpr e attualmente Stoke. 290 partitre da manager, Hughes è quello con la percentiale di vittorie più alta, si fa per dire, 35%. Ultimo Paul Ince, appena 17 presenze da capo allenatore in Premier, e un percorso che sta cercando compimento a Bloomfield Road con il Blackpool del figlio Tom. In Premier l'unica panchina è quella del Blackburn, dove è diventato il primo allenatore nero della storia del calcio britannico. Senza dimenticare Mark Robins dell'Huddersfield, o i vari Nicky Butt, Phil Neville e Ryan Giggs, tutti a peino organico nello staff tecnico dello United, oltre al figlio Darren, allenatore del Peterborough, la dinastia di "fergusoniani" non pare poter avere limiti in questo calcio. Chi sarà il vero erede di Ferguson sulla panchina dello United? Lo scozzese avrebbe già la risposta pronta, usando una frase celebre di Miranda Priestly, alias l'immenda Maryl Streep, "la verità è che non c'è nessuno che sappia fare il mio lavoro". Moyes lo sta capendo.