Non è certo un finale di regular season sereno quello che stanno vivendo i campioni NBA. I Golden State Warriors di Steve Kerr, una macchina di pallacanestro pressochè perfetta, che tutti gli addetti ai lavori hanno sempre considerato come la favorita principale per la conquista del titolo 2017/208 (sarebbe il terzo in quattro anni) stanno infatti attraversando un momento di enorme difficoltà.

Gli infortuni hanno decimato il roster dei californiani, privandoli contemporaneamente dei loro quattro All-Star. Klay Thompson è andato k.o. per la frattura del pollice della mano destra, Kevin Durant ha subito problemi al costato, Draymond Green è ancora alle prese con fastidi all'inguine, mentre Steph Curry è ai box: dopo aver recuperato da una distorsione alla caviglia, il due volte MVP in maglia numero trenta si è procurato (in uno scontro fortuito con il compagno JaVale McGee) la lesione del legamento collaterale mediale del ginocchio, con conseguente prognosi di almeno tre settimane di stop. Coach Kerr ha escluso che Curry possa rientrare per il primo turno di playoffs, nonostante le aspettative speranzose del suo giocatore. Non un dato da sottovalutare, in una duplice prospettiva: innanzitutto perchè nella Western Conference la prima serie della postseason non sarà una passeggiata per nessuno (dagli Utah Jazz ai Minnesota Timberwolves, dagli Oklahoma City Thunder ai San Antonio Spurs, passando per i Los Angeles Clippers, ogni avversario potrebbe essere scomodo), in secondo luogo perchè perdere Curry nel momento cruciale della stagione è qualcosa che i Warriors hanno già sperimentato. Accadde due anni fa, anche se più avanti, durante il primo turno contro gli Houston Rockets. Stesso infortunio, che fermò uno Steph sin lì inarrestabile, poi non più in grado di ripetersi con continuità nelle Finals, perse in sette gare contro i Cleveland Cavaliers di LeBron James. Ora Curry è però solo uno degli incerottati illustri di Golden State, con Kerr che si trova nella scomoda situazione di dover riaccendere la spina dei suoi titolari in una fase delicatissima, quella del passaggio dalla stagione regolare ai playoffs.

Se gli infortuni sono il principale problema dei Dubs (anche Andre Iguodala è lontano dalla miglior condizione, a causa di fastidi al ginocchio sinistro), un altro aspetto da tenere in considerazione è la tenuta mentale di un gruppo che quest'anno ha dimostrato più volte di avere i nervi a fior di pelle. Sia Draymond Green, che fa dell'emotività e dell'elettricità in campo uno dei suoi tratti distintivi, che soprattutto Kevin Durant si sono spesso lasciati andare a gesti ed espressioni ingiuriose nei confronti degli arbitri, finendo per accumulare tecnici ed espulsioni. Proprio KD è stato mandato negli spogliatoi la notte scorsa, nella gara della Oracle Arena contro i Milwaukee Bucks di Giannis Antetokounmpo, dopo aver insultato la terna arbitrale guidata da Bill Kennedy. Non esattamente il rientro che Steve Kerr e il resto dello staff tecnico di Golden State si aspettava: in assenza di Curry e Thompson, sarebbe spettato a Durant vestire i panni del leader della squadra. Invece l'ex stella dei Thunder ha continuato sulla stessa falsariga del resto della stagione, pronto a esplodere in ogni momento, come se fosse un DeMarcus Cousins degli anni peggiori. Arrivare ai playoffs in queste condizioni è una vera e propria sfida per Golden State, costretta a ricompattarsi dal punto di vista emotivo, a recuperare e allo stesso tempo far tornare al top i suoi migliori giocatori e ad affrontare avversari agguerriti. Su tutti, gli Houston Rockets di Mike D'Antoni che, con in campo James Harden e Chris Paul, hanno ampiamente dimostrato di essere una squadra da titolo. Cambiare il trend delle ultime settimane sarà l'obiettivo dei campioni NBA, mai così in difficoltà nel recente passato.