Dopo essere stato a guardare per quasi un mese, Steph Curry è tornato più in forma che mai. In quattro partite ha messo a referto 144 punti complessivi, tirando con percentuali superiori al 50% dall'arco. La sua ultima esibizione, ieri, nel matinée NBA dei suoi Golden State Warriors allo Staples Center contro i Los Angeles Clippers, costretti ad assistere a una sua performance da 45 punti in tre quarti di gioco.
Questo Curry è il Curry due volte MVP, che può segnare in ogni situazione e che ha una fiducia illimitata nelle sue possibilità. E' lo Steph al 100% dal punto di vista fisico, riposato e che si diverte, che alza il ritmo naturalmente, facendo calare un velo di terrore su pubblico e squadre avversarie. Ad agevolare le ultime prestazioni, quasi da All-Star Game per la facilità con cui ha segnato, l'assenza di Kevin Durant, fuori causa sia a Houston che a Los Angeles. Beninteso, i Warriors hanno un dannato bisogno dell'MVP delle ultime Finals, troppo importante in difesa e nelle situazioni in cui il loro spettacolare attacco si inceppa. La verticalità di KD è stata l'arma finale con cui Steve Kerr ha messo k.o. anche LeBron James nelle finali dello scorso giugno, chiudendo una strepitosa cavalcata playoffs con il clamoroso ruolino di marcia di sedici vittorie e di una sconfitta. L'assenza di Durant consente però all'uomo da Davidson di avere sostanzialmente carta bianca nel numero di tiri a disposizioni: performance da oltre 40 punti a sera sono quindi dietro l'angolo, proprio come accaduto nei due anni in cui Steph si è aggiudicato il riconoscimento di MVP della regular season. Buone condizioni fisiche e squadra tutta per lui in attacco: ecco perchè il Curry dell'ultima settimana è stato così travolgente, ricordando a tutti come erano i Warriors prima di Durant. Bellissimi, divertentissimi e ovviamente vincenti, con il rischio però di andare in difficoltà quando il loro numero trenta non è al 100%. Senza dimenticare ciò che l'ex giocatore degli Oklahoma City Thunder porta nella propria metà campo, addirittura quest'anno candidato al premio di difensore dell'anno (con la sponsorizzazione di Draymond Green).
"Ha alzato troppo l'asticella", le parole di Steve Kerr, andate in onda lo scorso anno, quasi come un mantra, per giustificare un calo dei numeri della sua point guard. Tutto vero, Curry ha abituato benissimo l'intero mondo di appassionati e addetti ai lavori, ma l'arrivo di Durant (che rende i Warriors una macchina quasi perfetta) ha inevitabilmente finito per modificare anche il gioco offensivo di Steph: prova ne sia la gara-5 delle scorse Finals, in cui il pick and roll tra i due fu messo sul tavolo come carta vincente, quella destinata a chiudere ogni discorso su chi dovesse prendersi il Larry O'Brien Trophy. Il Curry con Durant non cambia poi così tanto il suo modo di giocare, perchè la pallacanestro di Golden State non prevede isolamenti, ma movimento continuo di uomini e palla: ciò che Curry non può fare è prendersi tutti i tiri che vuole, quando vuole, come accaduto a Los Angeles, con i malcapitati Clippers costretti a contare quante volte la palla finiva nel canestro, in particolare dall'arco dei nove metri e quindici. Nessuna sorpresa dunque, solo la conferma che le qualità balistiche dell'MVP da Davidson non sono svanite, ma si sono adattate alla nuova versione dei Warriors, anch'essa vincente ma soprattutto più solida, ancorata a un giocatore come Kevin Durant, che può essere il miglior difensore di verticalità della sua squadra e allo stesso tempo il realizzatore con maggiori armi a disposizione. Ecco perchè, al di là di ogni considerazione sui playoffs, sul vantaggio del fattore campo e su accoppiamenti più o meno favorevoli, ciò che davvero a Oakland vogliono scongiurare sono gli infortuni. Senza, le probabilità di arrivare fino in fondo crescono in maniera esponenziale.