Il suo score alla sirena finale consente di non fare un bilancio troppo eccelso e lusinghiero, almeno sul piano numerico. 20 punti con un 7/18 dal campo che la dice lunga sulle difficoltà - sue e della squadra - in fase di attacco, in una gara in cui ci si aspettavano numeri clamorosi da una parte e dall'altra, ma in cui entrambe le 'fazioni' contendenti si sono fermate prima del limite dei 100. Sei rimbalzi e altrettanti assist, che non sono mai un dato banale ma che nel caso del protagonista della nostra storia sono quasi un dato negativo. Soprattutto se messo sullo stesso piano delle palle perse, che una volta tanto sono arrivate in numero maggiore rispetto ai palloni tirati giù dai tabelloni o delle assistenze per i canestri dei palloni: sette. LeBron James ha giocato con ogni probabilità una delle sue partite meno performanti nel giorno di Natale, nei suoi 15 anni nella lega di pallacanestro più importante al mondo. È giusto usare la definizione 'meno performante' perchè usare il termine 'peggiore' quando si giudica la prestazione del miglior atleta mai prestato a questo gioco suona quasi come un affronto, una bestemmia. Ma più o meno, di questo si tratta.
Ne abbiamo parlato, più o meno, sul piano numerico, ma più in generale non è stata una gran partita natalizia per LeBron James. Forse il fatto di ritrovarsi ad affrontare i rivali degli ultimi tre anni, i Golden State Warriors, senza quello che era stato il Robin perfetto del Batman venuto da Akron, ovvero quel Kyrie Irving che iniziava a giocare con i suoi Boston Celtics proprio mentre suonava la sirena finale alla Oracle Arena. Forse l'obbligo di dover limitare il suo confronto diretto, più mediatico che tecnico, con un Kevin Durant anch'egli sottotono sul piano realizzativo (decisamente meglio in difesa, ma ne parleremo dopo), rinunciando così alla sfida a distanza con quello che è inevitabilmente il leader tecnico e carismatico della franchigia rivale, quello Steph Curry che con LeBron condivide la città di nascita ma anche un attaccamento a doppio filo con la sua squadra di appartenenza. Mettiamoci anche i tre giorni di riposo consecutivi, che per un super-atleta come il 23 in maglia Cavs non sono mai qualcosa di entusiasmante, ed eccovi servito - come si è definito pocanzi - uno dei Christmas Game meno performanti della carriera del nostro protagonista.
Ma non sono solo le sette palle perse, gli undici tiri non mandati a bersaglio o il fatto non essere andato in doppia cifra nè con i rimbalzi nè con gli assist (oppure con entrambi, come ci ha abituato). Il Christmas Game di LeBron James si compone di alcuni sprazzi di onnipotenza cestistica, ma anche di tanti momenti in cui il 23 dei Cleveland Cavaliers, sul parquet, di fatto c'è e non c'è. Lo vedi fisicamente ma non con tutto il resto del suo bagaglio tecnico, atletico e soprattutto carismatico, mentre compagni ed avversari davano il massimo per rendere questa partita assai attesa lo spettacolo che tutti vogliono vedere. E lo si vede anche in quelle che con ogni probabilità sono le due azioni decisive del finale di gara, ovvero il doppio 1 contro 1 con Kevin Durant, con il 35 dei Golden State Warriors ad avere la meglio in entrambi i casi secondo il team arbitrale, il quale verrà però sconfessato e messo in una specie di gogna mediatica subito dopo la sirena finale per un doppio errore, sulla carta, gravissimo. LeBron non protesta, anzi lo fa ma senza troppa convizione o senza quel trasporto che ti aspetteresti in un contesto del genere e in una gara del genere.
La sensazione, per utilizzare un adagio che ormai dilaga sempre più per giudicare una prova distratta e pigra di un grande giocatore in una partita, è che LeBron James abbia giocato contro i Golden State Warriors 'in pantofole'. In pieno stile natalizio, come non ha fatto a meno di notare in un tweet circolato qualche ora prima della palla a due in quel di Oakland: "Stare lontano dalla famiglia per le vacanze è la parte peggiore. Amo ciò che faccio e non lo cambierei per nulla al mondo, ma non cambia il mio stato d'animo in momenti del genere". Questo il tweet di LeBron, accompagnato dall'hashtag #MissingTheJamesGang. Quasi un segnale anche della volontà, dopo quindici anni vissuti a tutta, di volersi anche dedicare con maggiore presenza e passione alla famiglia che nel frattempo ha tirato su. Come quando, quest'estate, LBJ ha fatto chiaramente intendere che i suoi figli sono stati decisivi per il tipo di lavoro svolto in workout e per l'intensità che ci ha messo. La sensazione, dunque, è che LeBron James stia giocando senza troppo trasporto, con grande lucidità ma senza affondare troppo il piede sull'acceleratore in queste 82 partite di regular season.
Dunque c'è poco da festeggiare o da essere entusiasti, in casa Golden State Warriors, per la vittoria ottenuta ieri sera e per le cifre del principale spauracchio. LeBron James, probabilmente, sta solo scrutando l'orizzonte prima di entrare in azione. Con una data ben impressa nella sua mente: giugno 2018.