Continuare a crescere per creare una dinastia vincente. Questo è il motto dei nuovi Houston Rockets, in continua ascesa nelle ultime stagioni: il record e le prestazioni sono migliorate a vista d’occhio praticamente dall’arrivo di James Harden nel 2012. L’exploit del 2015, con le finali di Conference raggiunte e perse 4-1 contro Golden State, non è stato seguito da una adeguata prestazione nella stagione successiva: inizio a dir poco turbolento, esonero di Coach McHale, squadra traghettata da Bickerstaff con una post-season agguantata all’ultima partita ed altra sonora eliminazione, stavolta al primo turno.
L’arrivo di Mike D’Antoni nell’estate 2016 ha portato una ventata di aria nuova, permettendo ai Rockets di chiudere al terzo posto in Western Conference con un record di 55-27, ma non evitando l’eliminazione dai Playoffs nelle semifinali di Conference, durante una tiratissima serie contro i rivali di San Antonio, culminata con la leggendaria stoppata di Ginobili su Harden ed il 4-2 per gli Spurs.

La celeberrima stoppata di Ginobili su Harden che, a fil di sirena, ha regalato gara-5 della serie agli Spurs. | Fonte: twitter - @NextSportStar

Dunque, Houston è oramai una realtà di livello in NBA, ma nessuno riesce ad ipotizzarla come reale contender al titolo: la sensazione è che manchi sempre qualcosa, il famoso penny per fare un pound, con i razzi texani a sciogliersi e perdere consistenza davanti ai grandi avversari in post-season. La scelta del front-office è stata dunque quella di rischiare, di provare l’azzardo con la speranza di poter ottenere dividendi importanti: via due componenti cruciali della second-unit come Patrick Beverley e Lou Williams, tre prospetti come Dekker, Harrell e Wiltjer, una prima scelta protetta al draft del prossimo anno, oltre ad Hiliard e Liggins, ottenuti precedentemente da Detroit e Dallas in cambio di denaro. Il tutto, impacchettato ed imbellettato, per avere in cambio Chris Paul dai Los Angeles Clippers. Uno scambio che terremota gli equilibri della Western Conference, sconvolta anche dai movimenti di George ed Anthony verso OKC, e regala ai Rockets un backcourt da sogno. Paul, infatti, rappresenta uno dei migliori assistman in circolazione nella lega, nove volte all-star, capace di lasciare sul campo 18 punti, 9 assist, 5 rimbalzi e 2 palle rubate ad allacciata di scarpe nell’ultima stagione. Un’all-around player, dunque, capace di creare occasioni per i compagni quanto per sé stesso, nonché un tiratore decisamente affidabile, avendo chiuso l’annata 16/17 con il 41% dall’arco ed il 55% (primato personale) di percentuale effettiva dal campo. Con lui ci sarà, ovviamente, James Harden, confermato con i gradi da capitano e da leader: the Beard rappresenta forse l’arma offensiva più pericolosa dell’intera Lega, da anni in cima alla classifica dei realizzatori, nonché un accentratore di gioco senza eguali. Avere accanto Paul potrà permettergli di liberarsi di molte pressioni in fase di impostazione, permettendogli di risparmiare energie (fattore cruciale dato che nelle ultime stagioni il prodotto di Arizona è arrivato alla post-season in piena riserva) e di recitare più il ruolo di tiratore, oltre a fornirgli un appoggio di prima qualità per i suoi scarichi. L’incognita rimane la tenuta difensiva, soprattutto a livello di concentrazione, per cui potrebbe toccare ai compagni metterci una pezza.

Harden e Paul in azione in pre-season. | Fonte: twitter - @RocketsnationFr


Il merito del GM Morey è stato senz’altro anche quello di aver mantenuto intatto il nucleo dei titolari. Ariza, da ala piccola, deve riscattare una stagione non brillante, ma sicuramente rappresenta ancora una soluzione di ottima esperienza e capace di farsi valere tanto in fase difensiva quanto offensiva con le sue doti da cecchino. Discorso simile per Ryan Anderson, power forward che sicuramente manca in centimetri ma riesce a compensare con intensità ed una grande quantità di punti nelle mani. Le sue prestazioni tendono ad altalenare un po’ troppo, ma sicuramente il livello medio è di tutto rispetto. Sotto i tabelloni, poi, toccherà a Clint Capela dimostrare di aver raggiunto la maturazione tale per dire la sua a questi livelli, sgrezzando il talento massiccio che si è visto a sprazzi nelle scorse stagioni. Se le promesse dovessero essere mantenute, i Rockets potrebbero aver trovato il loro rim-protector in casa. Dalla panchina, invece, potrà entrare Nené Hilario, utile sia come chioccia al già citato Capela che come giocatore esperto da usare nelle situazioni più delicate. La sua parabola, però, oramai da qualche tempo, è in fase calante. Il sesto uomo designato però sarà sicuramente Eric Gordon: premiato come migliore della categoria nel 2017, l’ex-Pelicans sarà chiamato a ripetere le straordinarie prestazioni da oltre 16 punti e 43% dal campo messe in mostra nella scorsa stagione. Lo spazio concessogli da D’Antoni potrà essere più limitato data la presenza di due guardie ingombranti nello starting five, ma la soluzione small-ball con l’avanzamento di Harden da 3 è più di una possibilità: estremizzandola con Ariza ed Anderson come “lunghi”, Houston avrebbe un quintetto di tiratori puri ed il campo apertissimo, con il compromesso di rischiare l’imbarcata a rimbalzo.
Gli altri interpreti a disposizione del Coach di Mullens sono un mix di veterani come Bobby Brown, confermato come unica point-guard di riserva dopo una stagione ai margini del roster; Luc Mbah-A-Moute e PJ Tucker nel ruolo di navigata ala piccola; Tarik Black ed i giovani Onuaku e Zhou Qi come lunghi.

Mike D'Antoni. | Fonte: twitter - @ItVavelNBA

Insomma, rotazioni cortissime in pieno stile Mike D’Antoni: un gruppo di qualità, unito, che sembra orientato tutto nella stessa direzione senza teste calde che possano crepare gli equilibri dello spogliatoio. Certo, la perdita di Beverley e Williams toglie diversi punti alla second-unit, ma con un po’ di fortuna dal punto di vista degli infortuni l’ex-allenatore dell’Olimpia potrebbe ridurre la rotazione a 8, se non 7 uomini chiave durante i Playoffs, come già fatto lo scorso anno. Le aspettative? Morey ha più volte dichiarato di voler contrastare lo strapotere dei “juggernaut” della lega, con chiaro riferimento a Golden State, ma la sensazione è che i limiti salariali abbiano impedito al front-office texano di costruire un supporto solido attorno alle proprie stelle. A meno di un’exploit clamoroso di più d’un interprete, sarà molto difficile vedere i razzi a giocarsi il titolo a giugno. Sognare, però, non costa nulla: la free-agency estiva ha rappresentato un tutto-per-tutto, che permette a Houston di presentarsi al tavolo dei grandi con il vestito buono. Le fiches sono tutte in gioco, ora non rimane che sperare nel jackpot per non accontentarsi di un altro giro da comparsa.