Quanto sembrano lontani i tempi in cui i Miami Heat, forti di LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh, giungevano ogni anno alle NBA Finals (quattro consecutive, dal 2011 al 2014, con due successi, contro Oklahoma City Thunder e San Antonio Spurs, e due sconfitte, contro Dallas Mavericks e contro Spurs versione rivincita). Ora la franchigia di South Beach, presieduta da Pat Riley, naviga a vista, nella speranza di tornare il prima possibile competitiva nella Eastern Conference, dove lo scorso anno i ragazzi di coach Erik Spoelstra hanno mancato di pochissimo l'accesso ai playoffs.
A spezzare in maniera definitiva il cordone ombelicale che legava Miami agli Heat dell'era LeBron, l'addio - recente ma allo stesso tempo datato dodici mesi e più - di Chris Bosh, uno dei componenti dei Big Three delle stagioni da titolo, costretto a salutare la Florida - e l'attività agonistica - per problemi di salute (formazione ciclica di coaguli di sangue in diversi organi del corpo). Dopo la partenza, con annesse polemiche annesse, di una bandiera come Dwyane Wade, finito nel 2016 ai Chicago Bulls, gli Heat hanno avviato la loro personalissima operazione rebuilding, andando a un passo dal compiere una gran rimonta in regular season, finendo noni nel ranking della Eastern Conference. Il bilancio degli anni post-James parla di una sola apparizione alla postseason, quella del 2015. quando le casacche color vinaccia si imposero in gara-7 al primo turno contro gli Charlotte Hornets, salvo essere sconfitti in una seria altrettanto lungo dai Toronto Raptors. La presenza di Riley e Spoelstra, il fascino acquisito da una franchigia sempre sulla cresta dell'onda nell'ultimo decennio, non sono però bastati ad attrarre free agents di livello a South Beach nel tentativo di ricostruire dalle ceneri della decision 2.0 di LBJ. Snobbati anche da Gordon Hayward, principale obiettivo della sessione estiva ancora in corso (anche se virtualmente terminata), gli Heat hanno provato - e presumibilmente proveranno nuovamente - un colpo di coda per accaparrarsi le prestazioni sportive di Kyrie Irving, in rotta proprio con LeBron a Cleveland, con una trade che attualmente non sembra in via di allestimento, soprattutto per la mancanza di contropartite tecniche (e contrattuali da spedire in Ohio). Il roster di Miami rimane infatti monco da più punti di vista, orfano di un leader tecnico ed emotivo, un insieme di buoni giocatori messi in campo con maestria da Erik Spoelstra, apprendista allenatore solo fino a qualche anno fa, oggi invece tra i primi della lega, come dimostrato da quanto ottenuto durante la scorsa regular season. E tutto lascia supporre che la prossima sarà un'annata simile per la franchigia della Florida, costretta a navigare tra il medio e il basso livello NBA, ancorchè in una Eastern Conference che ha perso per strada pezzi e squadre importanti (Atlanta e Indiana su tutte).
Il centro della squadra, a livello tecnico e di immagine, rimane Hassan Whiteside, lungo di estrema verticalità, stoppatore oltre la media e uomo da cercare direttamente al ferro piuttosto che in post, dove i suoi movimenti spalle a canestro sono notevolmente limitati. Intorno a Whiteside ruoteranno le fortune degli Heat, che hanno fatto di questo ventottenne il giocatore più pagato del roster (fino a 27 milioni di dollari nel 2020), perno difensivo di una squadra costretta in più occasioni ad arrangiarsi. Ma se Whiteside è il two way player del team, il giocatore di maggior talento è lo sloveno Goran Dragic, ambito da mezza NBA, ma attualmente ancora a Miami. Dopo l'esplosione avvenuta a Phoenix, Dragic ha rispettato solo in parte le promesse degli esordi, caratterizzandosi per prestazioni altalenanti che gli hanno impedito di effettuare l'ultimo salto di qualità verso l'empireo delle point guards della lega di pallacanestro più importante del mondo. Abile sia come passatore che come realizzatore, Dragic è chiamato ora a prendersi maggiori responsabilità nel gioco degli Heat, che non hanno tanti trattatori di palla a disposizione, se si considera che il suo backup dello sloveno (o comunque guardia in grado di creare dal palleggio) è Tyler Johnson, uomo in uscita dalla panchina e spesso decisivo come il suo omonimo James, giocatore completamente diverso, ala piccola potente che ha trovato una sua dimensione a Miami. Il resto dell'attacco della Casa Blanca passa dalle mani di Dion Waiters, altro reietto tornato prepotentemente alla ribalta nella scorsa stagione (male ai Cavs, meglio ai Thunder). Tra gli esterni, Rodney McGruder e Wayne Ellington sono principalmente dei tiratori (salutato Luke Babbitt, direzione Atlanta), mentre Josh Richardson e Justise Winslow rappresentano due punti interrogativi: potenzialità interessanti, entrambi giocatori al terzo anno, devono trovare continuità per costruirsi un futuro intrigante. I vari White, Hammons e Haslem (esperto capitano) non sembrano poter incidere più di tanto, mentre c'è attesa per Edrice Adebayo, lungo di vent'anni, provenienza Kentucky Wildcats, che dovrà provare a integrarsi con Whiteside, operazione che dovrebbe risultare più semplice a Kelly Olynyk, canadese ex Boston Celtics, principale presa di Riley sul mercato dei free agents. Ecco perchè, con un roster del genere, la mano di Erik Spoelstra rimane fondamentale per le sorti di Miami: dalla capacità di amalgamare una squadra organizzata sui due lati del campo, nonostante il talento a disposizione, del due volte coach campione NBA, passeranno molte delle fortune degli Heat, ansiosi di tornare ai playoffs dopo un anno di assenza, ma soprattutto di essere nuovamente al centro della pallacanestro a stelle e strisce.