Alta fedeltà. E' questo il senso del rinnovo contrattuale, quinquennale a 173 milioni di dollari, firmato da Blake Griffin e dai Los Angeles Clippers, all'indomani dell'addio di Chris Paul, deciso a portare i suoi talenti in Texas, a Houston per la precisione. La scelta di CP3 non ha intaccato la voglia di rimanere una bandiera dei Clips - o forse l'ha aumentata - della prima scelta assoluta al Draft del 2009, che ha sposato il progetto tecnico di allenatore e presidente Doc Rivers, legandosi all'unica franchigia per la quale ha giocato in NBA.
Un Griffin che definisce addirittura "una follia" la scelta di rimanere a Los Angeles sponda Lob City, salvo argomentare meglio i motivi della decisione, durante la sua nuova presentazione ufficiale da giocatore dei Clippers: "Questa franchigia è stata casa mia sin da quando sono stato scelto al Draft - le parole di Blake nella facility di Playa Vista, riportate da Kevin Arnovitz di Espn - e quest'aspetto è contato molto nella mia decisione. Non solo per ciò che era meglio per me e per la mia famiglia, ma per la qualità delle persone e del lavoro che posso svolgere qui. E' qualcosa che parte dalla proprietà, passa per il coaching staff, per il roster, fino ad arrivare a chi lavora per i Clippers ogni giorno. Penso che con il proprietario Steve Ballmer, con il presidente e allenatore Doc Rivers, con il vicepresidente Lawrence Frank, abbiamo realizzato che questo è il posto migliore per me. E' qui che ho iniziato, ed è qui che ho intenzione di chiudere la mia carriera". Quali le aspettative dell'inizio del nuovo ciclo dei Clippers, di cui faranno parte volti nuovi come Danilo Gallinari, Milos Teodosic, Patrick Beverley e Lou Williams? "Non saprei - risponde Griffin - ma la stazza e la velocità che ci sono in squadra sono entusiasmanti. Credo che dovremmo provare a guardare a una pallacanestro di transizione, di movimento di palla, di gioco libero. Siamo una squadra ben equipaggiata". Intanto Griffin è ancora alle prese con il processo riabilitativo dell'infortunio al piede sinistro, patito in gara-3 di primo turno di playoffs contro gli Utah Jazz: "Mi sono consultato con cinque specialisti diversi prima di operarmi, e la conclusione di ciascuno di loro è stata che un mio ritorno per il training camp è una possibilità realistica".
"Quindi spero di essere pronto per il camp. Nelle prossime settimane potrò tornare sul campo e ripartire da lì. E' già stato bello ritrovarmi sul parquet per lavorare sul ballhandling, sui tiri liberi e roba del genere, ma sto davvero prendendo questa riabilitazione una settimana alla volta". Entusiasta Doc Rivers, presidente delle operazioni cestistiche ed head coach dei Clippers che, subito dopo l'addio di Paul, ha girato tutte le sue attenzioni nei confronti dell'ala grande in scadenza di contratto: "I nostri obiettivi non sono cambiati, e il fatto di essere riusciti a riportare indietro Blake fa sì che questo sia un gran giorno per noi. Ma il messaggio più importante che Griffin ha dato a tutto l'ambiente è stato quello di voler continuare ad essere un Clipper. E una di quelle cose che, quando siamo arrivati qui, avremmo voluto sentirci dire, perchè questa franchigia non ha mai vissuto niente del genere. Ora abbiamo un giocatore che dice di voler essere un Clipper a vita: per noi è un messaggio straordinario. La decisione di Blake è stata rapida, e ci ha concesso la possibilità di muoverci anche in altre direzioni. E' stato molto importante, sia per noi che per lui. Appena ha deciso di rimanere, ha voluto subito comunicarcelo, in modo che potessimo operare sul mercato dei free agents e prendere i giocatori che volevamo, oltre a spiegare agli altri ragazzi della squadra che lui sarebbe rimasto. Molti giocatori non si comportano in questo modo. Ho subito pensato che la sua scelta sarebbe stata fantastica per noi, ma sono certo che lo sia stata anche per Blake". I Clippers escono dunque relativamente bene dall'affaire Chris Paul, avendo trattenuto la seconda stella di una squadra integrata con arrivi di talento, ma non hanno risolto il rebus relativo alla convivenza - nel lungo periodo e in certe partite - tra lo stesso Griffin e DeAndre Jordan, giocatore difficile da ricollocare in un nuovo sistema senza Chris Paul.