Al termine di undici mesi trascorsi da "colpevole", Kevin Durant ha raggiunto il suo obiettivo: tornare alle NBA Finals a cinque anni di distanza dalla prima e unica volta. Nel 2012 i suoi Oklahoma City Thunder, quelli con Scott Brooks in panchina, Russell Westbrook, James Harden e Serge Ibaka in campo, vennero schiantati per 4-1 dai Miami Heat di LeBron James. Ancora James si staglia adesso sulla strada di KD verso il titolo, in una sfida a due che avrebbe dovuto caratterizzare un intero decennio di pallacanestro a stelle e strisce, e che invece è spesso venuta meno.

Kevin Durant e LeBron James. Fonte: Ezra Shaw/Getty Images

Diversi gli infortuni di Durant, nessuna la possibilità di prendersi una rivincita contro James e quel pesante k.o. nel 2012. In mezzo, un titolo di MVP della regular season conquistato con la maglia dei Thunder, un paio di Finali di Conference perse in volata (contro San Antonio e Golden State), infine la scelta di raggiungere gli stessi Warriors ad Oakland, all'esito di una free agency mai così discussa, e che continua a far piovere critiche sul numero trentacinque. "Non è colpa mia se alcune squadre NBA non sono competitive", il recente sfogo di Durant, accusato di aver adottato una scelta di comodo, quella di provare a vincere facile, piuttosto che di rimanere a lottare a Oklahoma City. E' un KD accerchiato, quello che si appresta a disputare la sua prima gara di Finale da cinque anni a questa parte. La scorsa estate era stato addirittura il commissioner Adam Silver a definire la sua scelta "non ideale", mentre nelle ultime ore ci si è messo anche Doc Rivers, coach dei Los Angeles Clippers, a dar ulteriore fuoco alle polveri sulla controversa decision: "E' dura vedere un giocatore del calibro di Durant unirsi a una squadra come i Warriors - le parole dell'ex allenatore dei Boston Celtics, rilasciate a Espn Radio - è dura per chiunque abbia spirito competitivo. Prima ha perso contro Golden State, poi ci è andato. E' stata una sua scelta, nessun problema con lui, ma dal punto di visto della competizione, si potrebbe pensare che non avrebbe dovuto farlo. Quando giocavo, sarebbe stato difficile per me andare a Detroit. Detto questo, era un'opzione a sua disposizione, ormai i giocatori possono fare scelte del genere, e non c'è niente che possa impedirglielo".

Kevin Durant in maglia Warriors. Fonte: Eric Gay/Associated Press

Tra polemiche permanenti e accuse di tradimento (non solo dei Thunder, ma dello spirito del gioco), Kevin Durant è ora tra i protagonisti più attesi delle Finals (avversari, i Cleveland Cavaliers) che prenderanno il via domani notte (ore 3 di giovedì 1° giugno, diretta Sky Sport). Il suo inserimento nel sistema di Golden State è stato più naturale di quanto fosse lecito immaginare. KD ha abbracciato ben presto - e con buona convinzione - il nuovo sistema di Steve Kerr, ridotto gli isolamenti che cavalcava con continuità a Oklahoma City, divenendo così un pedina fondamentale dei successi dei californiani. Attaccante pressochè immarcabile, pericolosissimo dall'arco, gran giocatore di uno contro uno, in grado di chiudere al ferro con il punto esclamativo, così come di segnare con continuità con il suo jumper dalla media distanza (spesso in fade away), il nativo di Washington D.C. è salito di colpi soprattutto in difesa. Sì, perchè se le sue percentuali stagionali dal campo sono clamorose, è nella propria metà campo che Durant fa realmente la differenza per i Warriors. Quando è concentrato, la sua verticalità e le sue braccia lunghe ne fanno un difensore sottovalutato, capace di cambiare praticamente contro chiunque, e addirittura di aggiungersi alla protezione del ferro, in una squadra che manca di fisicità sotto i tabelloni. Il suo impatto nella serie contro i Cavs dipenderà innanzitutto da cosa sarà in grado di fare in difesa: con Andre Iguodala uomo della second unit, il numero trentacinque sarà inizialmente difensore primario su LeBron James, con tutto ciò che un accoppiamento simile comporta. In attacco, Durant ha dimostrato di saper unire doti innate di realizzatore a capacità di passatore per certi versi inediti, nel fantastico e vorticoso movimento di uomini e palla tipico del sistema dei Dubs di Steve Kerr. Nessun dubbio dunque sul Durant giocatore, che dovrà ora scacciare i suoi demoni alle Finals, disputando una serie fuori dall'ordinario. Solo così potrà vendicare la sconfitta nel 2012 e provare a frenare la lingua dei suoi detrattori, nella consapevolezza che questi ultimi continueranno a criticarne l'approdo a Golden State.