Sembra trascorsa un'eternità dalle travolgenti prestazioni balistiche della passata stagione di Klay Thompson, uno dei migliori tiratori sul perimetro di tutto il globo, e non solo. In casa Golden State Warriors è passata fin troppo inosservata, complice il 9-0 complessivo fin qui ottenuto dai ragazzi di Steve Kerr e la clamorosa rimonta ai danni dei San Antonio Spurs di ieri sera, una post-season alquanto scialba e poco scintillante della guardia classe 1990 nativa di Los Angeles, apparso fin qui abulico nel contesto generale rispetto a quanto accaduto fino al crepuscolo della precedente stagione ed in passato. Certo, spiegazione apparentemente inevitabile, soprattutto perché accanto a Stephen Curry adesso la principale bocca da fuoco e mangia palloni si chiama Kevin Durant. E come biasimare tale scelta. 

Tuttavia, ciò che gara 1 delle Finali di Conference ha messo in evidenza è l'incapacità della guardia losangelina di entrare in ritmo in attacco e, di conseguenza, anche in difesa, dove il suo accoppiamento, nel primo tempo, è stato contro Kawhi Leonard. Già, non è un segreto infatti che il miglior difensore sul perimetro dei Warriors sia proprio Thompson, sottovalutato fin troppo - soprattutto dal sottoscritto - per quel che riguarda il single coverage spalle a canestro. La presenza di Durant nei sistemi offensivi di Golden State ha esponenzialmente limitato l'importanza, l'impatto e la produzione offensiva di Klay e, di conseguenza, tolto fiducia, per quanto possa apparire paradossale, al tiratore californiano: poco ritmo, pochi palloni toccati, scarsissima percentuale al tiro. Statistiche e passività fin qui messe come detto in secondo piano dai due sweep consecutivi, in scioltezza, che i Warriors hanno rifilato prima ai Blazers e successivamente ai Jazz, dove è apparso meno necessario l'apporto dell'oramai quarto violino dell'orchestra filarmonica della baia. 

Ed invece, al primo campanello d'allarme suonato in prossimità del Golden Gate, è sembrato mancare clamorosamente quell'apporto dato forse fin troppo per scontato del numero 11. Ciò che ha sorpreso, in negativo, nel marasma generale del primo tempo è il pessimo body language offerto dal prodotto di Washington State, fin troppo passivo in marcatura su Leonard e decisamente troppo spaesato, scollato, dal resto del gruppo, in attacco, dove anche a campo aperto ha rifiutato o sbagliato tiri apparentemente semplici per un tiratore seriale come lui. Se in passato le sue folate erano state decisive per trascinare le sorti dei Warriors, stavolta è apparso diametralmente opposto il suo apporto, in termini di punti messi a referto - la miseria di sei - e di presenza sul parquet nei trentanove minuti di utilizzo. Nelle nove partite di playoffs fin qui giocate, la percentuale dal campo di Thompson è scesa addirittura sotto il 40% - la più bassa di sempre da quando veste la canotta dei Warriors - con il numero dei tiri che è andato progressivamente abbassandosi con l'arrivo delle sfide sempre più decisive e combattute, con Durant e Curry che tendono ad abusare fin troppo degli isolation in proprio favore.

Negli anni precedenti una delle chiavi per arrivare al successo dei Warriors si è dimostrata la capacità della guardia numero 11 di giocare ad altissimi livelli nelle due metà campo, ma è chiaramente in quella offensiva che Thompson pretenderebbe di essere maggiormente coinvolto per poi tramutare questa fiducia ed il derivante entusiasmo in energia positiva da spendere per la squadra nella metà campo difensiva. Per tornare ad avere un Thompson tirato a lucido, impeccabile in attacco come in difesa, i Warriors, Kerr e soprattutto Durant e Curry devono necessariamente trovare il modo di reinserirlo nel sistema offensivo, conditio necessaria nell'intento di confermarsi la pretendente numero uno al Larry O'Brien Trophy.